Gli italiani hanno le idee piuttosto confuse, sui tumori. Lo conferma uno studio condotto su cinquemila soggetti, maschi e femmine, di età superiore ai cinquant’anni, dal professor Ponz de Leon, cattedratico a Modena. Questo studio ha accertato che l’80 per cento dei soggetti esaminati è informato dell’esistenza dei carcinomi del polmone, della prostata, della cervice uterina, della mammella; ma non sa che esiste il tumore del colon retto e che è possibile prevenirne lo sviluppo. Per questo è stato deciso di dedicare il mese di marzo ad una maggiore conoscenza (a livello mondiale) di questa patologia, che solo in Italia fa, ogni anno, quindicimila vittime ma che, affrontata in tempo, può dare risultati molto positivi in novanta casi su cento. Un rapporto della London School of Economics ha messo a confronto il diverso atteggiamento di 17 Paesi europei (prevenzione, screening, diagnosi, terapie, ricoveri ospedalieri, risorse impiegate) nei confronti del carcinoma rettale. Anche a livello europeo sono stati riscontrati molti ritardi. L’Italia non è ai primi posti tra le cosiddette nazioni virtuose, ma neppure agli ultimi; presenta però differenze abissali tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Nelle prime si hanno buoni risultati sui programmi di screening (specialmente in Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Veneto, Lombardia, Trentino-Alto Adige). Al Sud, invece, con la sola eccezione della provincia di Avellino, tutto è fermo. Due noti oncologi – il professor Francesco Di Costanzo di Firenze e il professor Roberto La Bianca di Bergamo – hanno definito preoccupante questa situazione: preoccupante e pericolosa insieme perché, hanno spiegato, oggi è possibile bloccare questo tumore.
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