Caposele – Il vivere in una terra martoriata da un terremoto che io non ho vissuto, poiché sono nato qualche anno dopo, mi ha sempre spinto ad immaginare come essa abbia potuto trasformarsi quella sera e nei mesi successivi. Come abbia sofferto e visto soffrire. Perché è la terra che tutt’ora calpesto, che tutt’ora circonda la mia esistenza. Sempre, sin da bambino, chiedevo ai più grandi le loro testimonianze. Quasi sempre agghiaccianti. Così ho deciso di metterle insieme e ricostruire quella sera in un racconto romanzato, che narra veridicamente i drammatici fatti di quell’indimenticabile 23 novembre 1980, quando la terra impazzì dentro di sé, lasciando sulla sua superficie morte e distruzione. E’ un racconto, poiché basato su fatti reali, ambientato in posti altrettanto reali, che esistono tutt’ora. Una storia simbolica, che ne rappresenta centinaia simili. Una storia di ricordo per chi l’ha vissuta, di racconto e testimonianza per tutti gli altri. (di Donato Gervasio)
E’ la premessa del collega giornalista sull’onda maledetta del terremoto del novembre 1980. La storia di Davide Ferrari di 18 anni, della sua spensieratezza e della genuinità “paesana” prima delle fatidiche 19.34 del giorno della morte e della distruzione. Un racconto breve, di poche pagine e di grande intensità: un ragazzo della domenica, la giornata più attesa della settimana, intento a recarsi nel paese, anzi nella piazza, alla ricerca degli amici, per vivere i normali sfottò e la spensieratezza del momento. Poi l’attesa per la ‘famosa’ partita Juventus – Inter trasmessa da Rai Uno in diretta con la gente riunita per il tifo: la piazza di Caposele, i genitori usciti a passeggiare con la sorellina 13enne, lo sguardo dolce della strada in pietra, la Portella, la luna piena e rossa, l’insegna della DC, piazza Di Masi, la maestosità serena della chiesa… Tanti particolari impressi prima della catastrofe. Poi le scosse sussultorie e ondulatorie, il cuore che batte all’impazzata, le urla dalle macerie, la sezione del Pci rasa al suolo, la chiesa scomparsa, la polvere e le pietre, la ricerca disperata dei genitori. Sequenze che purtroppo a distanza di anni caratterizzano ancora le menti e le storie di tante persone. Davide alla fine scopre tra le macerie l’espressione serena del padre, schiacciato da un muro. Una storia come tante, normale nella sua sintesi e nella sua crudezza. Donato Gervasio invita alla riflessione: oggi più che mai attuale per non dimenticare la tragedia delle persone e di un’intera provincia. Simona, irpina che vive a Bari, ci ha inviato il suo contributo: “…da 6 anni ormai sono stata costretta ad allontanarmi dalla mia terra, il paese dei cento campanili, ma il mio Paese è sempre nel mio cuore….e questa sera, 23 novembre, sento più forte la solitudine e allo stesso tempo la comunanza con il muto dolore che ogni irpino porta dentro di sè… non vivo un momento facile dal punto di vista personale, ma io sono irpina e saprò sollevare lo sguardo al di là delle macerie e andare avanti armandomi di quella forza che è proprie della mia gente… vi voglio bene”. E’ proprio così: siamo irpini con tanti limiti ma con il cuore grande e la forza e la tenacia della gente delle zone interne. Come Davide noi siamo ancora vivi: ed è per questo grazie a Donato, Simona, e tanti altri, le piazze che non ci sono più e coloro che vivono nel ricordo dei propri cari, è bello alzare lo sguardo al cielo. Per ringraziare Colui che ha regalato la vita nella vita.