La mozzarella del clan Sangermano imposta anche in due ristoranti  irpini

0
7971

“Qua la mozzarella e’ camorra..” Salvatore Sepe, cognato del boss Agostino Sangermano si vantava cosi’ in auto con un suo familiare, non sospettando evidentemente che il suo telefono era monitorato dagli inquirenti. E’ uno degli scenari emersi dall’inchiesta dell’Antimafia conclusa con il blitz scattato all’alba tra Livardi, il feudo del clan Sangermano, sgominato dall’operazione della Dia e dei Carabinieri di Castello di Cisterna. Proprio dagli accertamenti e’ emerso anche il ruolo operativo del clan Sangermano nel lucroso affare della distribuzione dei beni alimentari in particolare prodotti caseari da distriubuire ad esercizi commerciali. Al centro di questa distribuzione c’e’ un caseificio della zona nolana, a Saviano, che secondo gli inquirenti sarebbe di fatto “commissariato” dal clan. In particolare proprio da Salvatore Sepe. A dimostrarlo e’ il fatto che i titolari sulla carta siano in costante contatto con Salvatore Sepe, cognato del boss Agostino Sangermano e con lo stesso capoclan. Piu’ incontri per stabilire la commercializzazione. Ristoratori e commercianti costretti a comprare la mozzarella nonostante la scarsa qualita’ e l’assenza di alcun marchio. I Carabinieri di Castello di Cisterna hanno ascoltato numerosi acquirenti, anche in Irpinia. Due ristoranti di Monteforte Irpino nel 2017 erano stati costretti, grazie anche alle pressioni esercitate da Roberto Santulli, montefortese finito coinvolto nel blitz di stamattina e da Angelo Grasso, cugino del boss Agostino Sangermano, anche lui finito in manette, ad accettare nonostante la qualita’ pessima della mozzarella forniture per alcuni chili a settimana. Ai Carabinieri di Castello di Cisterna uno dei soci del ristorante ammette di aver comprato trenta chili di mozzarella che poi aveva dovuto cestinare, solo perche’ aveva subito pressione da Santulli e aveva capito che si trattava di soggetti legati alla criminalita’ organizzata. L’ altro ristorante, invece, su pressione di Grasso aveva fatto acquisti che pero’ nel locale non erano mai finiti, visto che anche in questo caso era noto il legame tra il referente del caseificio e il boss Agostino Sangermano. Il Gip Fabrizio Finamore ha riconosciuto per tutti i capi di imputazione contestati in questo segmento di indagine, sia il reato di trasferimento fraudolento di valori, che di una serie di estorsioni aggravate per tutti gli episodi ricostruiti dalle indagini della Dda di Napoli.