Dichiarazioni false per ottenere il Reddito: assolta per tenuità del fatto

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AVELLINO- Assolta dall’accusa di aver dichiarato il falso per percepire il reddito di cittadinanza. Questa la decisione del giudice monocratico di Avellino che, riqualificando la contestazione a carico di una cittadina straniera, difesa dall’avvocato Carolina Schettino, ha applicato la particolare tenuità del fatto e assolto la donna. La Procura aveva chiesto la condanna.

LA VICENDA
La donna era imputata in ordine al reato previsto dall’art. 7 co. 1 e 2 del decreto-legge n. 4/2019 (le sanzioni previste sul reddito di cittadinanza) poichè, all’atto della richiesta per ottenere il reddito di cittadinanza, avrebbe dichiarato di risiedere in Italia da almeno dieci anni, circostanza risultata non conforme al vero.

In questo modo aveva ottenuto il beneficio indebitamente. In effetti, per quanto riguarda i requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno, la normativa in materia prevede che il richiedente il beneficio debba essere residente in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi 2, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo.

Nella domanda di RDC, nella sezione requisiti dichiarati, l’imputata risultava aver dichiarato tra le altre cose di aver risieduto in Italia per almeno 10 anni, di cui 2 in modo continuativo. Al fine di verificare l’effettiva sussistenza in capo all’imputata di tale requisito la Guardia di Finanza effettuava controlli all’anagrafe, dai quali è risultato che la donna era divenuta effettivamente residente in Italia dall’anno 2014, ovvero 6 anni prima della domanda.

La stessa imputata aveva reso esame nel corso dell’Istruttoria, sottolineando in primis, di aver presentato la domanda presso un patronato/caf del proprio paese, dove a sua domanda se fosse in diritto di percepire il sussidio, gli era stato detto di si e di essere in possesso dei requisiti previsti dalla legge per ottenere il beneficio.

In secudis dichiarava che a prescindere dalla residenza, era presente comunque in Italia dal 2012, ovvero da 8 anni rispetto al momento di presentazione della domanda nel 2020. Ancora rendeva noto che, una volta attinta da avviso di garanzia e contestuale decreto INPS che le sospendeva l’erogazione del beneficio e le intimava la restituzione dell’indebito percepito, si era adoperata a presentare domanda di rateizzo, così da poter restituire un pò alla volta quanto illecitamente percepito.

LA DIFESA.
Per la difesa: la presunta condotta omissiva dell’ imputata sia stata commessa “a monte” della fase di concessione del sussidio (falso inteso all’ottenimento), e non “a valle” dell’avvenuto riconoscimento (falso teso al mantenimento), tanto che le andrebbe contestato solo il comma 1 dell’articolo in commento che punisce “chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’ articolo 3, rende …. ovvero omette informazioni dovute”, e non anche il comma 2″.

La stessa difesa aveva sollecitato anche: ” la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ex art. 131 bis, nella sua nuova formulazione in seguito alla riforma Cartabia, che ne consente l’applicabilità a tutti i reati puniti con la pena minima non superiore a due anni. All’uopo, infatti, possono valorizzarsi le circostanze come sopra meglio spiegate, con particolare riferimento all’oggetto su cui è caduta la falsità (trattandosi di dichiarazione mendace solo in merito al requisito degli anni di residenza in Italia), nonché all’ elemento soggettivo del reato, posto che sicuramente le omesse informazioni da parte del caf hanno contribuito a creare lo stato di confusione cui è caduta l’imputata.

Senza dimenticare poi che trattasi di soggetto incensurato, che ha tenuto una condotta processuale impeccabile, oltre che una condotta successiva al reato integerrima, essendosi anche adoperata a domandare rateizzo dell’indebito”.