AVELLINO- “La sovrabbondante istruttoria dibattimentale (già completamente espletata allorquando questo giudice diveniva assegnatario del processo) ha fornito la prova della insussistenza del fatto addebitato ad Urciuoli Carmine, già emersa in verità, all’esito dell’ attività investigativa che ha trovato piena conferma in giudizio”. E’ cosi’ che, dopo aver ricostruito tutta l’istruttoria dibattimantale relativa al decesso del detenuto, che si era tolto la vita all’interno della sua cella, il giudice monocratico del Tribunale di Avellino Sonia Matarazzo ha motivato la sentenza di assoluzione nei confronti del medico Carmine Urciuoli, difeso dal penalista Nicola D’Archi, responsabile all’epoca dei fatti (2017) del presidio sanitario presso il carcere. In una lunga sentenza, il giudice ha ricordato a tale proposito come “Lo stesso Pubblico Ministero (il pm Luigi Iglio) , pertanto, ha chiesto l’assoluzione dell’imputato, finendo per confutare nel corso della sua requisitoria la tesi accusatoria posta a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio avendo escluso qualsiasi profilo di penale responsabilità in capo al prevenuto”. Per il Tribunale, quella contestata al medico e’ stata “una ampia e poco precisata condotta omissiva a mezzo della quale egli non avrebbe impedito al …..di suicidarsi all’ interno della sua cella.Considerato, però, come emerso dall’istruttoria, che il detenuto era stato sottoposto a numerose visite, che gli erano stati prescritti farmaci per la problematica … che aveva manifestato all’ingresso del penitenziario e che la terapia gli era stata somministrata, come ha accertato l’esame tossicologico sul cadavere, sostanzialmente l’accusa mossa all’Urciuoli sarebbe quella di non aver vigilato affinchè il detenuto venisse sottoposto alla visita specialistica psichiatrica che era stata prescritta dai medici che lo avevano più volte visitato ma che non era stata effettuata in quanto mai inserita tra le prenotazioni e, quindi, mai richiesta”. Tutto questo, rileva sempre sulla base di quanto emerso nel corso dell’istruttoria il magistrato: “In un sistema di prenotazione “zoppicante” (come definito dal teste del PM dott. Corrotto), dove la effettiva conoscenza della visita da parte dello specialista dipendeva esclusivamente dall’inserimento della richiesta nel sistema informatico ad opera del primo operatore immediatamente reperibile (sanitario, parasanitario, financo penitenziario), l’ omissione penalmente rilevante ascrivibile all’imputato, quindi, sarebbe quella di non essersi premurato di monitorare quotidianamente tutti i registri e i diari clinici dei detenuti per verificare se le annotazioni ivi contenute fossero state effettivamente trasposte allinterno del file informatico ese, di conseguenza, le richieste fossero state portare a conoscenza dello specialista”. Come aveva rilevato lo stesso pm Iglio e sottolineato nella sentenza il giudice monocratico, si tratta di una “condotta in alcun modo esigibile dall’Urciuoli il quale, per la qualità rivestita, non aveva il pieno controllo di tutti diari clinici dei detenuti e non veniva sistematicamente informato di tutte le richieste visita psichiatrica, fatta eventualmente eccezione per i casi (e quello del Della Valle non era tra questi) in cui si rendeva necessario che il detenuto beneficiasse di una “corsia preferenziale”, senza che venisse seguito ‘ordine cronologico fissato per l’espletamento delle visite”. Per il magistrato, il dibattimento ha provato che il sistema dell’inserimento informatico delle prenotazioni delle visite psichiatriche era regolamentato, legittimo e funzionante e, comunque, non apparteneva alla competenza dell’Urciuoli in quanto l’addetto alla prenotazione la inviava direttamente allo specialista. “In tale meccanismo- si legge nella sentenza- che a dire dei testi non aveva mai presentato problematiche significative, dovevano essere i medici che avevano sottoposto a ripetute visite il detenuto verificare che era mancata la visita psichiatrica specialista segnalandola magari proprio all’Urciuoli comunque provvedendo direttamente alla prenotazione”. Peraltro, a tutto voler concedere, volendo cioè ravvisare in capo all’Urciuoli un obbligo giuridico di impedire l’evento, predisponendo un sistema alternativo di prenotazione (come quello virtuoso cd. “del doppio binario” adottato d’iniziativa dal dott. Corrotto), proprio per evitare le storture e le inefficienze sottese al sistema intranet – sistema che, comunque, si ripete, non è emerso che fosse fallace difetterebbe comunque in radice la possibilità di ricondurre eziologicamente il decesso del detenuto alla condotta del dirigente”. Per il magistrato dunque: “Già nel capo di imputazione è evidente il mancato accertamento del nesso di causalità tra la condotta asseritamente omissiva ascritta all’ imputato e l’evento suicidario quale ultimo, stando alla contestazione, sarebbe derivato automaticamente dalla omissione mentre , come insegna la migliore dottrina e giurisprudenza, l’esistenza di un obbligo
giuridico di impedire un evento non e’ di per sé sufficiente a fondare un giudizio di
colpevolezza, se non vi prova che la condotta omissiva lo abbia effettivamente causato.E’ emerso, invero, che il detenuto era entrato in carcere con problematiche .. comuni ai detenuti, senza una storia clinica sotto tale profilo, e non si era fatto segnalare per comportamenti anomali o che potessero destare preoccupazione. Del resto la sua condizione era stata inquadrata e pure affrontata farmacologicamente essendo stata
accertata in sede autoptica I’assunzione da parte del detenuto di farmaci antidepressivi e antipsicotici. Ne consegue che il solo fatto di non essere stato … sottoposto a visita psichiatrica non è sufficiente a far ritenere che, diversamente egli non si sarebbe suicidato. Più precisamente, non è stato portato alcun elemento di prova per affermare che con iI comportamento dovuto ed omesso l’evento sarebbe stato impedito con elevato grado di probabilità prossimo alla certezza”. E non e’ mancato il riferimento ad una sentenza che ha aperto una nuova linea nei reati di omicidio colposo: “Si ricordino le conclusioni della epocale sentenza “Franzese” nella quale a Sezioni Unite la Corte di Cassazione, con particolare riguardo alla categoria dei reati omissivi impropri, sancirono il definitivo tramonto delleprecedenti teorie causali il definitivo affermarsi della “teoria della conditio sine qua non sotto leggi di copertura” in base alla quale “un antecedente può essere configurato come.condizione necessaria solo se esso rientri nel novero di quelli che, sulla base di una successione regolare conforme ad una generalizzata regola di esperienza o ad una legge dotata di validità scientifica”legge di copertura” frutto della migliore scienza ed esperienza del momento storico, conducano ad eventi “del tipo” di quello verificatosi in concreto” .Nella pronuncia, pur dandosi atto della peculiarità concettuale dell’omissione, le Sezioni Unite osservarono che lo statuto logico del rapporto di causalità rimane sempre quello del “condizionale controfattuale”, che impone in ogni caso di rispondere al quesito se, una
volta liminata mentalmente ‘azione doverosa omessa, sostituendola con corrispondente comportamento doveroso (supposto come realizzato) attraverso l’impiego di un enunciato esplicativo “coperto” dal sapere scientifico del tempo, l’evento morte si sarebbe o meno verificato hic et nunc.In altre parole, alla luce dei principi di diritto elaborati dalla Corte”. La conclusione, secondo il magistrato, alla luce di queste premesse: “Ebbene, nel caso di specie, la legge di copertura andrebbe ricercata nella psicologia ovvero, per un giudizio maggiormente attendibile, nella psichiatria o nelle neuroscienze, dove però, trattandosi di scienze non esatte, notoriamente non operano leggi scientifiche di portata universale ma solo probabilistica: una su tutte quella che impone di sottoporre un soggetto, che manifesta sintomi inequivocabili di malessere emotivo non trattabili esclusivamente nell’ambito di un percorso psicoterapeutico, a visita psichiatrica onde valutare la necessità di un supporto farmacologico”. La conclusione e’ che “sulla scorta di quanto accertato,insomma, la predisposizione di un modello alternativo di prenotazione delle visite (ad es. cartaceo), in uno a un controllo rigoroso circa l’effettiva trasmissione dell’elenco allo specialista, avrebbe consentito al detenuto di ricevere parere di uno psichiatra, ma non avrebbe al di là di ogni ragionevole dubbio impedito
I’evento suicidiario”.