Clan Graziano, il pentito “Felicione” in aula: la strage delle donne fu un errore

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VALLO LAURO – “Lo dissi subito che non era stato un errore, fu una barbarie per cui non fummo diversi dai Cava”. E’ quello che ha detto pochi minuti l’ex boss Felice Graziano, per anni tra i vertici della famiglia quindicese, riferendosi alla strage del 26 maggio 2002 in Via Cassese, dove furono uccise Clarissa Cava, 16 anni, Michelina Cava e Maria Scibelli, figlia, sorella e cognata del defunto boss Biagio Cava. L’ex boss pentito e’ stato ascoltato dai giudici del Tribunale Collegiale di Avellino dove si celebra il processo al Nuovo Clan Graziano, quello sgominato da un blitz della Dda di Napoli e dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino nel luglio 2019. Il teste dell’Antimafia, in aula e’ stato esaminato dal pm che ha condotto le indagini, il sostituto Luigi Landolfi. Una presa di distanza da uno dei più efferati momenti della faida tra i Cava e i Graziano, quella in cui Felicione aveva perso nel novembre del 1991 suo fratello Vincenzo, ucciso nella strage di Scisciano. Nella vicenda però Graziano non è stato mai coinvolto, visto che era in rottura con i cugini. Tra l’altro Graziano, che come ha ricordato anche in aula collabora con l’Antimafia dal 2008, si è accusato anche di vari omicidi, fra cui quello del settantenne padre di Biagio Cava. Rispondendo alle domande del pm antimafia Landolfi, Graziano ha ricostruito tutta la fase che dagli anni 90 ha visto secondo quanto raccontato da lui protagonisti anche i due cugini a processo davanti al Tribunale di Avellino, ovvero Fiore e Salvatore Graziano, che avrebbero partecipato a tutte le attività del clan, retto in quegli anni da una triade composta da Arturo Graziano, padre dei due imputati e recentemente deceduto, Salvatore Luigi Graziano e lo stesso padre del collaboratore, Antonio Graziano. Meno tratteggiato il ruolo nel clan di Antonio Mazzocchi, che il collaboratore ha comunque descritto come legato alla famiglia, fatto per cui nel 2004 il padre era stato ucciso dai Cava. Il boss pentito ha anche ricordato la modalita’ con cui il clan aveva messo le mani su appalti e fondi post frana ed in particolare che dal Vallo di Lauro manca ormai proprio dal maggio del 2008. In aula si torna il 28 maggio.

IL PROCESSO

Il processo al “Nuovo Clan Graziano”, il gotha del gruppo quindicese che secondo le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino si sarebbe riorganizzato dopo le scarcerazione “eccellenti” a fine 2017 di Fiore e Salvatore Graziano (recentemente scarcerato), figli del defunto boss Arturo, che avevano stretto un patto per gestire il racket e il condizionamento delle attività politiche ed economiche nel Vallo di Lauro con Antonio Mazzocchi, l’ex poliziotto cognato di Adriano Sebastiano Graziano (estraneo a questa organizzazione). Tutti e tre sono stati infatti indicati dalle indagini dei pm Antimafia Simona Rossi e Luigi Landolfi come promotori e organizzatori del gruppo, disarticolato da un blitz scattato nell’agosto 2019, per frenare una probabile ripresa della faida con il clan avversario dei Cava (dalle intercettazioni ambientali e tramite trojan dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino erano emersi tentativi da parte di Mazzocchi di organizzare un agguato ai danni di Salvatore Cava jr, scarcerato nel maggio 2019). Sono quattro gli imputati davanti al collegio presieduto dal giudice Gian Piero Scarlato che devono rispondere di associazione a delinquere di stampo mafioso, difesi dai penalisti Raffaele Bizzarro e Sabato Graziano.