Bancarotta di un’impresa di pulizie: processo di secondo grado da rifare

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Processo di secondo grado da rifare per un imprenditore titolare di una ditta in città che si occupava di pulizie, dichiarata fallita nel 2014. Lo stesso era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Avellino per “bancarotta documentale fraudolenta”, perché avrebbe sottratto per tutto il periodo di riferimento, gli atti contabili relativi alla stessa impresa per metterli a disposizione del creatore fallimentare. Cosa non avvenuta e per questo si era giunti al processo con una condanna in primo grado a tre anni e all’inibizione all’impresa per dieci, diventati tre in secondo grado. Nel ricorso per Cassazione presentato dai suoi legali, gli avvocati Orlando Cipriano e Paolino Salierno, era stato evidenziato un solo elemento di impugnazine, ovvero la mancanza di sicurezza sulla consapevolezza e sull’ormai noto elemento soggettivo da parte dell’imputato: “Orbene, anche in tal senso, la motivazione resa dall’impugnata sentenza soffre di un’evidente lacuna, essendosi la Corte territoriale limitata ad affermare che l’imputato doveva “essere consapevole che tale condotta avrebbe reso impossibile la ricostruzione del patrimonio della società”.
In definitiva, la Corte di Appello di Napoli non ha affatto indicato ulteriori, e più
probanti, elementi a sostegno del dolo specifico, dovendosi senza dubbio escludersi la possibilità di far rientrare la condotta dell’odierno ricorrente in quella punita a titolo di dolo generico, la cui struttura fenomenica – in quanto basata su scritture che, per quanto incomplete o inidonee alla ricostruzione dell’andamento dell’impresa, sono state alterate e sottoposte agli organi fallimentari – risulta del tutto eccentrica rispetto alla condotta omissiva, anche parziale, contestata nel caso di specie”. Una tesi accolta dai magistrati della Suprema Corte, che hanno ritenuto fondato l’unico motivo esposto ed oggetto di ricorso da parte della difesa, rilevando come: Dacché la condotta materiale accertata e ritenuta è stata quella rientrante nell’ambito della bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta delle scritture contabili, condotta che deve essere sorretta, sul piano dell’elemento soggettivo, come si è evidenziato, dal dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori. Peraltro, tale accertamento non è stato compiuto dalla Corte territoriale, che ha invero ritenuto sufficiente che l’imputato avesse consapevolezza delle modalità di tenuta delle scritture contabili e le avesse consapevolmente sottratte agli accertamenti della curatela fallimentare”.
I difensori dell’imputato sono gli avvocati Paolino Salierno e Orlando Renato Cipriano.L’Avvocato Paolino Salierno dichiara: “questa difesa ha sempre evidenziato, quale significativa risultanza probatoria emersa all’esito dell’istruttoria dibattimentale espletata in primo grado, l’assenza di condotte distrattive di alcun tipo poste in essere da parte dell’imputato, circostanza questa che determinava un onere motivazionale particolarmente rigoroso sull’elemento soggettivo dell’addebito di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta delle scritture contabili. Dunque, la Suprema Corte, riconoscendo fondato il ricorso proposto dai difensori di fiducia dell’imputato, ha statuito che la condotta contestata al nostro assistito doveva essere sorretta, sul piano dell’elemento soggettivo, dal dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori e che, invero, tale accertamento non è stato affatto compiuto dalla Corte di Appello di Napoli.Queste, in estrema sintesi, le ragioni per cui la Cassazione ha annullato la Sentenza di Appello rinviando per nuovo esame ad altra Sezione della Corte territoriale Partenopea”