Aste Ok, Villani: “Aprile un professionista, non aveva bisogno della Camorra”

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“Armando Aprile non aveva bisogno della camorra per partecipare alle aste, era un professionista”. E’ quanto in una lunga arringa davanti al collegio presieduto dal giudice Roberto Melone (a latere Gilda Zarrella e Vincenza Cozzino) nel processo Aste Ok ha sostenuto il penalista Alberico Villani, difensore di Armando Aprile, che per il pm antimafia Henry Jhon Woodcock era il “regista” vero del gruppo alleato ai Galdieri. Il penalista ha messo proprio in discussione l’impianto accusatorio, partendo dalla contestazione dell’associazione di stampo mafioso, che per Villani appare nella sua “debolezza”, riferendosi proprio al fatto che la stessa debolezza dell’impianto emerge dal fatto che il pm per “dimostrare la consistenza del 416 bis sta proprio ha richiesto una modifica del capo di imputazione”. Dalle intercettazioni richiamate in aula dal legale di Aprile, emergerebbe che non c’era nessun accordo di tipo intimidatorio con i Galdieri. Villani riferisce del passaggio quando Livia Forte ricorda come “Noi questo abbiamo sempre fatto all’interno del Tribunale”. Contestiamo come difese che effettivamente ci sia stata un coinvolgimento. L’ accordo per cui intervengono i Galdieri nel caso in cui non c’è accordo con debitore avrebbe determinato il fatto che ci sarebbero state minacce. Vi rendete conto che Armando Aprile non aveva bisogno di nessuno. Sostanzialmente non c’era bisogno della camorra. Non c’era necessità di un intervento dei Galdieri. Anche perché già prima del dicembre del 2018, dalla famosa intercettazione in cui Galdieri invita Genovese a “mettere le orecchie a terra”, già da anni Aprile e la Forte si occupavano delle aste”. Villani ha posto una serie di domande retoriche al Tribunale: “Ma a qualcuno è stato impedito di partecipare alle aste? O chi arrivava da qualsiasi posto poteva tranquillamente partecipare alle aste? La risposta è semplice: a nessuno e stato impedito di partecipare alle aste. I fatti vanno qualificati, determinati. L accusa fonda tutto sul processo di primo grado, dove c’erano dei presunti fatti estorsivi . Tutta una impostazione che è stata sbagliata dall’inizio. Dov e’ la forza intimidatrice? Si vuole dimostrare che solo il nome di Aprile e il fatto che sia collegato ai Galdieri dovesse far desistere dalla partecipazione gli altri eventuali concorrenti”. Come mai, tutti i debitori del processo sono stati sentiti come testi e non come indagati? Per quale motivo tutti i debitori hanno brigato per tornare in possesso dei beni. E la cosa negativa che riguarda il sistema delle aste. E’ la norma che è sbagliata. I debitori sono stati i primi a tentare di veicolare la situazione e hanno fatto in modo che questi beni venissero aggiudicati in modo e a prezzo stracciato. Contestiamo questa tesi della Procura e il fatto che siano “puliti””. Rileggendo in aula anche una intercettazione ambientale tra Livia Forte e Aprile, in cui quest’ultimo si lamentava proprio della presenza dei Galdieri e di un “patto” che lo stesso Aprile non avrebbe mai accettato. Caso per caso, Villani ripercorre tutte le presunte turbative contestate ad Aprile. Soldi dati per “consulenze”, trattative commerciali. Nessuna certezza probatoria e nessuna qualificata azione intimidatrice imputabile allo stesso Aprile”. Primo a rassegnare le sue conclusioni e stato l’avvocato Danilo Iacobacci, difensore di Manlio Di Benedetto: “Nel presidiare questo processo ho pensato di trovare le motivazioni per cui c’e’ stata una richiesta da parte del pm di otto anni e sei mesi. Nella vicenda di Manlio Di Benedetto fin dall’inizio di questo procedimento sia il Riesame che la Cassazione hanno ritenuto che non ci fosse la gravita’ indiaziaria. Anche per ll capo C e’ stato decisa l’assoluzione da parte del Gup per un coimputato, come gia’ tramesso con la sentenza. Forse a voi è arrivato anche meno di quanto vagliato da Riesame e Cassazione. Per questo motivo chiedo l’assoluzione di Di Benedetto”. Il pm antimafia Henry Jhon Woodcock ha già annunciato, nell’ottica di un vero e proprio gentleman agreement (patto tra gentiluomini), che il 29 aprile depositera’ una memoria scritta e non farà repliche. Una memoria che ha già annunciato il pubblico ministero, saranno una sintesi di quanto già esposto nel corso della sua requisitoria davanti al Tribunale. Lo dico anche per consentire a livello organizzativo e soprattutto per consentire agli avvocati di poter rispondere con memoria scritta entro una data anteriore al 3 maggio, perché le controrepliche orali di tutti gli avvocati, determinerebbe che in camera di consiglio si arrivi a notte fonda

L’AVVOCATO SANTAMARIA: CICCONE NON LITIGO” PER LE ASTE DAVANTI AL BAR

La denuncia contro Antonio Ciccons e’ inattendibile. Il penalista Gerardo Santamaria ha così sintetizzato le motivazioni per cui il suo assistito, che risponde di tentata estorsione ai danni di una esecutata che avrebbe aggredito e minacciato davanti ad un bar nei pressi del Tribunale, non avrebbe avuto la lite con la stessa per un motivo non legato alle intimidazioni e alle aste: “Ci troviamo dinanzi ad una situazione ben diversa da quanto riferito dal pm alle posizioni marginali. Nel caso di Ciccone non si può fare riferimento alle dichiarazioni delle persone offese. Perché la denunciante è stata sentita come persona indagata in reato connesso. Le sole dichiarazioni per questo motivo non possono da sole, senza riscontro, valere come prova. Non ci sono stati riscontri, né testimonianze. Eppure vicino alla denunciante c’era una persona che è stata neppure sentita. Al di la di questi mancati riscontri che basterebbero a portare all’assoluzione di Ciccone”. E c’e’ poi il discorso sull’inattendibilita’ della denuncia te: “Ma anche sul profilo dell’attendibilita’ la denunciante non appare credibile. Il primo dato di inattendibilita’ sta proprio nella ragione formulata dalla denunciante, cioè per motivo della casa. Il fattore che ha scatenato il litigio non è dovuto ad una minaccia estorsiva. E’ la denunciante che fa riferimento all’ipotesi di denunciare Ciccone e la mamma (Livia Forte). Quindi non c’è alcuna minaccia. Del resto anche sulla presunta fase in cui sarebbe giunta la minaccia, non c’è un preciso riferimento. Su questo però si era già pronunciato il Riesame nel dicembre del 2020, che aveva intuito che la minaccia estorsiva non era riferita al fatto che dovesse lasciare la casa. La contestazione è ferma al fatto che la denunciante dice in sede di esame che dal bancone del bar, difendendosi nel corso della rissa, diceva: se non ve ne uscite, vi ammazzo”. Ma il riferimento era non certo alla casa, ma all’uscita dal bar dove era rimasto bloccato nel corso della lite avvenuta. “La minaccia è stata usata per coinvolgere Ciccone in questo procedimento-ha spiegato l’avvocato Santamaria- essendo anche imputata in un altro procedimento. Aveva tutti gli interessi. Nessun legame con gli interessi della madre. Si trova coinvolto in questa vicenda perché era il figlio di Livia Forte. Sappiamo bene che la denunciante aveva livore nei confronti della Forte, perché la sua casa era stata aggiudicata da Flammia e lei aspettava che invece l’asta sarebbe andata deserta”. Le dichiarazioni della denunciante sono state smentite dai due dipendenti del bar, che rispetto alla versione fornita dalla presunta vittima, che loro si sarebbero nascosti per sfuggire allo stesso Ciccone che avrebbe raggiunto la vettura per raccogliere una pistola , che invece era uscito, come hanno raccontato i due dipendenti del bar, i primi ad uscire erano stati proprio i denuncianti e solo dopo Ciccone”. Inverosimile anche che Ciccone potesse avere interessi perché l’immobile non era stato neppure acquistato dalla mamma”.

L’ AVVOCATO TACCONE: NESSUN RAPPORTO TRA BARBATI E APRILE

Emanuele Barbati, come ha ricordato nella sua requisitoria l’avvocato Villani, non aveva nessun contatto prima di essere coinvolto dai suoi familiari (la denunciante ) per aver concorso con Livia Forte ed Armando Aprile alla turbativa di un immobile, portando al cospetto di Forte e Aprile la stessa denunciante per ottenere cinquemila euro e mille per lo stesso Barbati. E’ stata questa anche la tematica centrale della discussione dell’avvocato Fernando Taccone, difensore del Barbati, che ha ricordato come da tempo venisse sollecitato ad intervenire: “Ci potresti procurare un incontro con questi signori che sembrano interessati alla casa, visto che lavori ad Avellino”. Mentre il pm parlava nellq sua requisitoria sul diritto alla casa, ma Barbati Emanuele rispetto alla casa chi è? E’ il nipote acquisito dell’esecutato. Nessun evidenza del legame con Armando Aprile e Livia Forte, che non conosceva prima del 3 dicembre del 2018. Nessun rapporto. C’è un primo sms mandato da A.D, dopo il termine delle offerte per l’asta. Perché manda l’sms. Per “rassicurare Emanuele” dice la signora. Quindi Barbato sta dalla sua parte. Ma non è solo questo. Attendevano da giorni una comunicazione per essere accompagnati da Livia Forte e Armando Aprile. Ad un certo punto c’è la richiesta di partecipare all’incontro da parte dello zio. Un fatto testimoniato da tutti i testi. Dall’esecutata, dal nipote della teste e da un altro nipote della stessa esecutata. Tornando all’sms si chiede: hai novità. E quando alle 18:31 Barbati gli scrive: ci vediamo con urgenza ad Avellino. La risposta è: Ok. Parto subito. Quindi il promotore dell’incontro non era certo Barbati”. Secondo l’avvocato Taccone: “da mesi Barbati subiva sollecitazioni per avere l’incontro. E la denunciante ha riferito che non voleva andarci”. Sentita sull’incontro del 3 dicembre in aula, la denunciate avrebbe raggiunto il ristorante It’Ok e al termine della trattativa, aperta con una proposta di ventimila euro, Aprile chiude l’accordo con seimila euro. “Cinquemila euro a me e mille euro ad Emanuele”. Ma Aprile in quella sede vuole lanciare un messaggio allo stesso Barbati. Lui era il garante, dal momento che lavorava in banca. Nella sua denuncia non fa riferimento ai mille euro di Barbati. Perche’ allora? Il 15 dicembre, dopo che Aprile chiede una serie di garanzie per questa vicenda, Barbati si vede con la denunciante, registrando l’incontro. Perché Aprile continuava a sollecitare il pagamento di quanto era stato pattuito”. E qui si chiarisce che il riferimento ai mille euro e ad Emanuele, era di una dilazione successiva al pagamento dei cinquemila euro. Per l’avvocato Taccone: “Barbati ha subito le stesse pressioni da parte di Aprile della denunciante, perché stavano dalla stessa parte”.

MAURIELLO: NON GIUDICATE GENOVESE COME FIGLIO DEL BOSS

“Genovese Damiano non è più tornato da Pasquale Galdieri dopo che a dicembre del 2018 gli disse: metti le orecchie a terra. Perché? Perché sapeva benissimo che quella richiesta, a lui, figlio di un boss, avrebbe creato gravi problemi. E da persona intelligente, che si era sempre tenuto lontano da questi ambienti, senza però rinnegare nessuna amicizia, anche negli interrogatori resi, dove ha sempre risposto e lo ha anche chiesto di essere sentito”. Il penalista Claudio Mauriello “Consigliere comunale con 500 voti, questa città proprio nelle elezioni comunali ha sempre messo ai margini personaggi equivoci li hanno sempre bocciati. Damiano Genovese no. Perché era stato sempre vicino a tutti, con un sorriso, non perche era il figlio del boss. Ma perché era una persona per bene”.
Essere figli di un boss, soprattutto per chi sceglie di intraprendere un’altra strada, non è facile. Ha deciso di vivere nella legalità. Genovese si è sforzato a fare un percorso sano, tenersi lontano da certi ambienti, ma si trova sempre ad essere associato come il figlio del boss. Ma perché questa ingiustificata vergogna per questa famiglia che ha scelto di vivere onestamente?” E ha concluso: “La derubricazione della Procura cosa ci suggerisce: l’istruttoria ha dimostrato che Genovese non ha mai minacciato nessuno, non ha mai estorto un euro, non ha mai guadagnato qualcosa di illegale. La mia preghiera è che Damiano Genovese venga giudicato come Damiano Genovese e non come il figlio del boss”.

SANTAMARIA: GENOVESE “ATTORE NON PROTAGONISTA” DEL PROCESSO

Il penalista Gerardo Santamaria ha scelto una metafora cinematografica per descrivere il non ruolo di Genovese Damiano per quanto emerso dell’istruttoria: “Siamo arrivati alla fine del processo, che aveva grandi aspettative su Genovese ritenuto promotore e stretto collaboratore di Pasquale Galdieri, a prendere atto che il nostro assistito sia uscito come “attore non protagonista”. Genovese non è stato partecipe dell’associazione. Quali sono gli elementi che legano in questo processo Genovese ai Galdieri? Nessun contributo sotto il profilo delle aste da parte di Genovese. Ha avuto questa chiacchierata con Pasquale Galdieri, che era fratello di un suo caro amico. Dopo la morte del fratello di Galdieri ci fu l’incontro. E in quella occasione gli sarebbe stato affidato l’incarico da parte di Galdieri. Ma non è così. Galdieri Pasquale non sapeva nulla delle vicenda, fu Genovese a rapprsentargliela. Per questo Galdieri gli dice: metti le orecchie a terra. Ma per avere più notizie su quella procedura. Ma cosa succede dopo quell’incontro? Niente. Perché Damiano Genovese non si vede più con Pasquale Galdieri, e visto che uno aveva attività intercettative con il trojan e a casa di Galdieri c’erano le cimici”. Per l’avvocato Santamaria: “Non è emersa la partecipazione o l’adesione al clan. Non c’è nessuna prova del famoso bacio rituale mafioso tra Pagano e Genovese. Il video alla fine non è stato mai fornito da parte degli inquirenti”. La partecipazione, quella su cui l’avvocato Santamaria ha anche evidenziato come una premessa del pactum sceleris e la conoscenza tra gli stessi. Per questo motivo il fatto che non ci siano rapporti tra Genovese e Armando Aprile, che non si conoscevano neppure o con altri, dimostra che non c’era nessuna partecipazione al Clan”.