Vita, morte e fuga del Capitone: il piatto “sgusciante” della Vigilia

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Renato Spiniello – Il Cenone della Vigilia di Natale in Irpinia, come in tutta la Campania, è irrinunciabile: nelle diverse fasi di preparazione, degustazione e perfino di digestione tutto deve seguire l’iter tradizionale, quasi fosse un rito esoterico.

L’abbuffata prevede un rigoroso menù a base di pesce, la cui carne è tradizionalmente libera da spiriti maligni. Arrosti, brasati e polpettoni sono consentiti solo se cucinati dopo la mezzanotte, ovvero dopo la data comunemente associata alla nascita del Bambin Gesù. L’unica eccezione alla regola è la minestra maritata, a cui in alcune zone la carne viene aggiunta alle diverse tipologia di verdure, nel rispetto dell’antica usanza di consumare tutte le scorte alimentari presenti in casa prima della venuta del nuovo anno.

Pesce e frutti di mare sono invece simboli positivi dell’ars culinaria in quanto legati all’acqua, l’elemento vitale per eccellenza.

Un capitolo a parte merita però “O’ Capitone”, la grossa anguilla che risale i fiumi, sulla cui uccisione e preparazione si sprecano le teorie. Il rito parte dalla scelta dell’animale, operazione che richiede una certa esperienza.

Una volta individuata la bestia, l’arduo compito di afferrarla tocca al venditore. Tornati a casa bisogna lasciarla riposare in un’ampia bacinella piena d’acqua, col rischio che la bestia, agile e sgusciante, riesca ad evadere dal suo triste destino.

Dopo averla riagguantata sotto i mobili, la femmina dell’anguilla viene tagliata a pezzi partendo dalla testa, strofinata con sale grosso e lasciata riposare (magari senza guardare quei pezzettini che continuano a muoversi).

Ma la cosa particolare è che questo piatto, la cui preparazione richiede tempo e anche sangue freddo, rischia ogni anno di essere il “di più” da consumarsi il giorno successivo, nonostante gli inviti della nonna a mangiarla perché “porta bene”.

Tra gli spaghetti alle vongole, bianchi o rossi a seconda dei gusti, le fritture di calamari e gamberetti, i gamberoni arrostiti, le frittelle di baccalà della mamma e i dolci tipici come struffoli, roccocò e frutta secca, alla fine nello stomaco non resta neanche un angolino per il povero capitone, che si limita a fare compagnia ai commensali nell’attesa della mezzanotte sperando che sotto l’albero Babbo Natale abbia lasciato il dono sperato.