Villa bunker devastata, ribaltata sentenza: assolti in appello familiari di Cava

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VALLO LAURO- Ribaltata in Appello la condanna per la presunta devastazione e il saccheggio da parte di alcuni familiari del defunto boss Biagio Cava della villa bunker di Via Nazionale oggi confiscata, a seguito della sentenza di condanna definitiva e di confisca emessa dalla Corte di Cassazione il 19 maggio 2015 nel cosiddetto “maxiprocesso” al clan quindicese. Tutti assolti per non aver commesso il fatto dalle accuse. Così hanno deciso i magistrati della I Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli, accogliendo le impugnazioni proposte dal penalista Raffaele Bizzarro e dall’avvocato Rolando Iorio. Il sostituto procuratore generale aveva chiesto al termine della sua requisitoria la conferma delle condanne emesse in primo grado.

LA CONDANNA IN PRIMO GRADO
La vicenda giudiziaria e il processo di secondo grado riguarda l’impugnazione proposta dalla difesa, il penalista Raffaele Bizzarro contro il verdetto emesso dal Tribunale collegiale di Avellino , presieduto dal giudice Roberto Melone il 16 dicembre del 2020 nei confronti dei familiari del defunto boss Biagio Cava. A partire dalla moglie, Fusco Rosalba, la figlia Felicia Cava e i nipoti Florio e Alfonso Galeotalanza, tutti condannati a quattro anni e dieci giorni di reclusione oltre al pagamento di una multa di 4000 euro per furto aggravato dalle più persone riunite e con violenza sulle cose (esclusa l’aggravante relativa al comma 7 che riguardava pignoramenti e beni in sequestro, giacché la casa era ormai confiscata) aggravati dal metodo mafioso e danneggiamento aggravato dal metodo mafioso.

Assolti invece dalla contestazione di sottrazione di cose sottoposte a sequestro, proprio in ragione del fatto che invece si trattasse ormai di un bene per cui era scattata la confisca. Ora per tutti e’ arrivata la sentenza di assoluzione. Era stato condannato ad un anno e quattro mesi per ricettazione Michele Nappi di Pago del Vallo di Lauro, difeso dall’avvocato Rolando Iorio, nella sua abitazione infatti erano stati trovati almeno dodici arredi , compresa una vasca idromassaggio, che era stata asportata dalla villa bunker di Via Nazionale.

Nel verdetto di primo grado i giudici avevano così motivato la sussistenza del metodo mafioso: “Le modalità dell’azione poste in essere a poche ore dalla sentenza della Cassazione, devono ritenersi metodo mafioso per la pervicace volontà distruttiva e predatoria posta in essere al solo fine di lasciare allo Stato un bene deturpato e sostanzialmente inutilizzabile”. Ne’ una semplice volontà di riappropriarsi dei beni che una reazione di mera rabbia per il verdetto emesso dalla Cassazione. Un chiaro “intento di neutralizzare il significato ripristinatorio della legalità da parte dello Stato cui hanno inteso in modo paradigmatico contrapporsi ostentando un rapporto di forza , per riaffermare il peso del clan sul controllo del territorio”. Per i giudici una “evidente prova simbolica del potere camorristico”.

La vicenda nasce proprio dalla sera del 19 maggio 2015, quando secondo le accuse della Procura Antimafia in una reazione alla sentenza, sarebbe stata vandalizzata la villa bunker, da cui erano stati asportati tutti i mobili d anche le suppellettili, rinvenute in alcune perquisizioni tra giugno e settembre del 2015 dalla Polizia presso le abitazioni degli imputati. All’interno della villa erano stati accatastati anche diversi pneumatici, evidentemente, almeno questa era l’ipotesi investigativa, per dare alle fiamme la struttura. La difesa aveva sempre sostenuto che in realtà non ci fosse la prova che a compiere il raid fossero stati proprio gli imputati, anche perché avevano comunicato il 20 maggio di lasciare la casa e la scoperta della vandalizzazione era avvenuta solo nei primi giorni di giugno. Si attendono ora le motivazioni della sentenza di secondo grado.