Quando i figli adolescenti diventano una preoccupazione.

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Studente in difficoltà
Studente in difficoltà

La Dottoressa Marianna Patricelli, psicologa – psicoterapeuta sistemico relazionale, risponde ai quesiti dei lettori di Irpinianews.it

Gent.le dottoressa, sono il papà di tre figli: Mario di 21 anni, Michele di 13 e Silvia di 7 anni. Le scrivo di mia iniziativa, avendo saputo dell’opportunità di chiederle un  parere scrivendole sulla situazione delicata che sto vivendo. Sono preoccupato per il mio secondo figlio, contrariamente a mia moglie, che non reputa ci siano problemi.

Ma io tendo ad informarmi molto, soprattutto approfondendo sul web ciò che mi interessa e, da quello che ho letto, ho capito che era il caso di chiedere un parere professionale, perché le mie forse non sono “fisime”, così come le definisce mia moglie. 

Veniamo alla questione: Michele sta frequentando la seconda media ma è stata un’impresa, nel vero senso della parola, riuscire a fargli seguire le lezioni sino ad oggi: spesso e volentieri l’ho dovuto trascinare per i capelli per accompagnarlo a scuola, in quanto ha sempre una buona scusa per assentarsi.

Quando è la madre che lo deve accompagnare, non è necessario lo spreco di energie, semplicemente perché lui riesce a persuaderla facilmente con le sue “sceneggiate”, sì…perché per di questo si tratta…Mio figlio, pur di non andare a scuola, si inventa di tutto: malesseri fisici vari, paura improvvisa di non si sa che cosa, crisi aggressive inspiegabili verso noi genitori…insomma: ogni volta una sudata per fargli svolgere il suo dovere!

A mio parere è la mamma che lo vizia troppo, tant’è che con lei non sono necessari gesti troppo teatrali perché basta lamentarsi per un banale mal di testa che mia moglie lo fa sdraiare a letto, telefona subito al dottore ed è lì preoccupata a sua disposizione.

Gli altri fratelli le rinfacciano spesso di avere attenzioni solo per lui e, secondo me, non hanno tutti i torti. Forse c’entra il fatto che alla sua nascita ha avuto dei seri problemi ed ha rischiato di morire, ma poi la cosa si è risolta e non ha avuto più problemi.

Forse a mia moglie è rimasta questa paura? Avrebbe bisogno lei di qualche seduta con uno psicologo?

Catello B., 47 anni

Marianna Patricelli psicologa
Dottoressa Marianna Patricelli

Gentile sig. Catello, probabilmente, come dice lei, è rimasta nell’atmosfera familiare la paura della “perdita”, quindi della “morte”: certi eventi traumatici, per alcune persone, sono difficili da elaborare e possono creare dei “blocchi emotivi” che vanno smossi solo con l’aiuto di un esperto, come sembrerebbe essere il caso di sua moglie.

Una presumibile ipotesi porterebbe a pensare che suo figlio Michele abbia sviluppato una sorta di “fobia scolastica”, cioè paura di andare a scuola dovuta ad un timore del distacco dalla famiglia, in particolare dalla madre, in questo caso.

Chiaramente occorrerebbe un approfondimento in altra sede, ma è plausibile credere che suo figlio avverta inconsapevolmente il livello alto di preoccupazione su di lui e quindi, rimanendo “accanto” alla madre il più possibile, tenti di rassicurarla, cercando di non allontanarsi troppo, nemmeno per andare a scuola.

E’ pur vero che però è l’unico ad avere un comportamento conciliante con sua moglie che non viene sostenuta da nessuno, nemmeno da lei che è il marito.

I comportamenti di Michele non sono da reputarsi “intenzionali” ma inconsci e possono verificarsi nelle famiglie troppo protettive ed ansiose: i figli diventano troppo “accondiscendenti” nei confronti delle paure dei genitori, sviluppando una serie di difficoltà a “separarsi” da loro come dovrebbe avvenire normalmente in età adolescenziale. Suo figlio, difatti, sta cominciando ad affacciarsi a tale periodo delicato della vita di un individuo.

Ma sta accontentando più le esigenze della madre che le proprie di esplorazione all’esterno. Le suggerisco di essere più comprensivo con sua moglie, piuttosto che dimostrarsi così critico, cercando di accoglierla, ed occupandosi della faccenda di suo figlio, incoraggiandolo nella crescita.

Provi a confrontarsi con sua moglie sulla questione e, contemporaneamente, coinvolga suo figlio in attività da svolgere insieme, “sottraendolo” alla madre.

E’ auspicabile, infatti, nella fase adolescenziale soprattutto, che il padre condivida degli interessi e attività col figlio affinché possa avvenire un sano processo di identificazione, cioè: lei deve essere il modello maschile da imitare e la figura che dovrà “spingerlo” verso le relazioni esterne.

Se dovessero permanere le difficoltà da lei descritte, sarà necessaria una psicoterapia familiare che coinvolga tutti i membri che dovranno essere aiutati a superare il momento di empasse.

La Dottoressa Marianna Patricelli è iscritta all’Ordine degli Psicologi della Campania n. 1428  ed è abilitata all’esercizio della psicoterapia.

Riceve per appuntamento ad Avellino in via Due Principati, n. 49 Telefono +39 3393157865

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