Pena e carcere, Airoma: quel killer confessò, restò all’ergastolo ma divenne un uomo libero

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ROMA- “Per dare una speranza di espiare le proprie colpe dobbiamo ridare il significato alle parole pena e sanzione, perchè è vero che nessuno deve maltrattare Caino, ma bisogna pure ricordare che ha ucciso Abele”. Il Procuratore della Repubblica di Avellino è intervenuto così qualche giorno fa al confronto su “Pena e carcere, una scommessa (solo) sull'”Umano Tutto Intero”, presente anche il sottosegretario alla Giustizia Ostellari e il vicepresidente del Csm Pinelli, al Pio Sodalizio dei Piceni, nell’ambito del II° 𝐅𝐞𝐬𝐭𝐢𝐯𝐚𝐥 𝒅𝒆𝒍𝒍’𝑼𝒎𝒂𝒏𝒐 𝒕𝒖𝒕𝒕𝒐 𝒊𝒏𝒕𝒆𝒓𝒐, fra “vitalismo” e “nichilismo” nel “cambio d’epoca”. Una due giorni promossa dall’organizzazione cattolica “Ditelo sui tetti”, il Festival propone “luoghi” e “strade” della Speranza, perché dalla cultura della vita fiorisca vitalità demografica ed economica della Nazione.

RIDARE SIGNIFICATO ALLE PAROLE: PENA E CARCERE
“Ripartire, pena, carcere. Devo dire che il primo aspetto che io voglio sottolineare e’ proprio quello relativo alle parole: pena e carcere” ha esordito Airoma, ricordando un aneddoto su Confucio: “Si racconta che Confucio disse ai suoi discepoli che gli chiedevano quale sarebbe stato il suo primo atto di governo se mai fosse stato imperatore della Cina, disse: fisserei il significato delle parole. Noi stiamo perdendo il significato delle parole. Come se le parole dovessero coprire la realtà delle cose. Così anche la pena.
Che cos’è la pena? Cos’è che rende umana la pena. Facciamoci questa domanda. Innanzitutto potremmo dire: il suo essere giusta. Ma che significa una pena giusta? Innanzitutto una pena commisurata a chi la deve scontare. Guardate questa sembra un’ ovvieta’, ma in realtà risponde a un canone fondamentale, quello della prudenza, che e’ virtù anche superiore della Giustizia, perché dà la misura della Giustizia. Diceva Sant’alfonso che chi ruba dieci ma poteva rubare cento e’ sulla via della santita’. Ma così e’. Chi invece ha rubato dieci ma potevo rubare cinque certamente non è sulla via della santita’. Entrambi hanno rubato dieci. Entrambi dovrebbero avere la stessa pena. Ma non è così. Non può essere così e questo potremmo dire sgombera il campo da ogni tentazione di applicare l’ intelligenza artificiale alla giustizia penale. Ma cos’è che al fondo rende la pena giusta? Ciò che rende la pena giusta e’ il fatto che essa non è altro che una sanzione rispetto al male commesso. Rispetto al male commesso. Perché lo si diceva prima, giustamente, esiste il male. Io dico spesso che di mestiere faccio il pessimologo, cioè vedo il male in azione, non sono pessimista, faccio il pessimologo. Il male e’ in azione”.
SE NON ESISTE BENE O MALE NON CI SARA’ ESPIAZIONE
Il magistrato ha ricordato come in un incontro con i giovani magistrati alla Scuola della Magistratura: “prima di me, in una dissertazione di un accademico che ha impiegato i suoi 45 minuti per spiegare che non esiste né bene né male, ma che tutto dipende dalla situazione. L’etica della situazione. Al che quando ho preso la parola, mi sono limitato a chiedere ai miei giovani colleghi: vi faccio una sola domanda, stuprare una bambina di 8 anni e scaraventarla dal decimo piano come la possiamo qualificare? Oggi la possiamo qualificare male e domani, magari bene, rispondetemi a questa domanda. E allora questo per dire che cosa? Per dire che in realtà se noi non recuperiamo nella pena l’aspetto appunto etico, cioè la sanzione per un male che è stato commesso noi in realtà non diamo neanche a quel condannato la possibilità di emendarsi e di riconciliarsi veramente. Se noi pensiamo che per quel male commesso è responsabile la società, ma non l’uomo evidentemente non c’è nessun carcere, neanche d’oro, che possa ovviamente dare risposta a quel condannato. Perché quel carcere e di per sé ingiusto. A giusta ragione si dice che è un non luogo, se evidentemente un luogo dove va ad espiarsi una pena che non ha senso, perché e’ la società che sbaglia. Espiare, anche la radice etimologica dice viene evidentemente da un annotazione religiosa, quindi emendarsi e riconciliarsi”.
IL KILLER CHE CONFESSO’ I SUOI DELITTI: ERA ALL’ERGASTOLO MA DIVENTO’ UN UOMO LIBERO
E allora badate ha avvertito Airoma: “racconto sempre un episodio della mia vita professionale. Quando fu chiamato da un noto Killer camorrista che aveva assassinato circa 30 persone. Volle avere un colloquio con me. Ma dissi: questo cosa può volere. Appena mi sedetti dissi: guardi non si faccia film, lei sta qui e sta bene dove sta al momento, perche’ non mi vengono segnali di recepiscenza. Allora lui dice: io sono qui non intendo uscire da qui. Io intendo confessare le mie colpe, tutte. Mi raccontò altri dieci omicidi rispetto a quello che noi avevamo già accertato. E disse: lo faccio per una ragione, perché io voglio pagare il mio debito fino in fondo e voglio lanciare un messaggio ai miei figli perché non ripetano in me stessi errori. Ecco quell’uomo anche se era in carcere anche se la condanna all’ergastolo in realtà è un uomo libero. Perché era interiormente libero. Aveva completato il suo percorso appunto di emenda e di riconciliazione. Allora, da dove ripartire. Ecco ripartiamo anche qui. Da ciò che rende umana la pena e l’uomo tutto intero per quello che ha fatto”.
NESSUNO TOCCHI CAINO, MA NON SI DIMENTICHI CHE HA UCCISO ABELE
“Nessuno Tocchi Caino, certamente. Nessuno deve maltattare Caino. Ma se c’è Caino perché c’è un Abele, perché ha assassinato Abele, questo non lo possiamo dimenticare” perché questa circostanza ha avvertito il magistrato: “E’ nel suo interesse, se noi vogliamo veramente emendare Caino. Qualche tempo fa, qualche anno fa, un autore danese ha scritto un libro da un titolo molto intrigante, appartiene alla letteratura distopica: “L’uomo che voleva essere colpevole”. Quest’uomo, ha assassinato la moglie. Insomma al funzionario dice: ho commesso un assassinio, deve pure esserci scritto da qualche parte che ho ammazzato mia moglie. Il funzionario gli dice: non le sembra di esagerare un po’. E va bene dato che è lei, detto fra noi c’è scritto che ha occasionato la morte di sua moglie”. E l’uomo risponde: in altre parole vuol dire che sono colpevole di omicidio. La risposta del funzionario punizione e colpa sono concetti che non usiamo più. Ecco signori, allora noi dovremmo incominciare a usare questi concetti per quello che essi significano. Perché soltanto se ridiamo senso alla pena, se diamo senso alla sanzione, al di là dei progetti, mettiamo al centro quella persona e se quella persona ha una speranza e deve coltivare la speranza e’ soltanto perché gli abbiamo dato la possibilità di ammettere la sua colpa e dunque di riconciliarsi”. Aerre