PARTENIO 2.0/ Usura con tassi al 20% e pizzo del 3% sui lavori appaltati: i “tentacoli” del clan muovevano così

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E’ stata sicuramente tra le più importanti operazioni anti-Camorra che si sono svolte sul territorio irpino. 23 arresti, di cui 18 in carcere e 5 ai domiciliari, che hanno consentito agli inquirenti di disarticolare il Nuovo Clan Partenio, nato ad Avellino e in provincia dalle ceneri del clan Genovose (i due boss Amedeo e Modestino sono reclusi dal febbraio 2001 e dovranno scontare l’ergastolo), poi divenuto clan Partenio e quindi clan Partenio 2, come loro stessi lo definivano.

Il tutto è partito dalla complessa attività investigativa del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Avellino, che si è articolata tra il 2014 e il 2018 mediante intercettazioni ambientali e telefoniche, ma anche appostamenti, perquisizioni, etc. Il Nuovo Clan era dedito principalmente ad attività usuraie ed estorsive. Per la prima veniva applicato un tasso d’interessa del 20% mensile, mentre per le estorsioni era richiesto alle imprese edili impegnate nella realizzazione di importanti opere pubbliche un pizzo del 3% sui lavori appaltati.

A costituire e dirigere il clan, secondo gli inquirenti, Pasquale Galdieri, detto O’ Milord, nato ad Avellino e residente a Mercogliano, che si avvaleva di altri personaggi dello stesso comune come Carletto e Mercogliano (Carlo Dello Russo), titolare di un autolavaggio/rimessa di Rione Mazzini.

Ma il clan era composto anche da altri esponenti della malavita locale, come Carmine Valente, detto Caramella, noto per la sua appartenenza al clan Cava di Quindici ed Ernesto Nigro, detto Ciabone, riferimento delle zone di Montella e Bagnoli Irpino che da vittima di usura del clan era stato incoronato “capozona” o “capintesta” in Alta Irpina.

Il sodalizio di Mercogliano puntava ad espandersi in maniera olistica, a Serino e in Alta Irpinia in particolare. La “longa manus” della consorteria criminale fagocitava sempre più nuovi accoliti e seguaci, con lo scopo di sostituire e ricambiare i vecchi associati.

Il tutto è dettagliatamente descritto nelle 881 pagine di ordinanza di applicazione e di rigetto delle misura cautelare coercitiva personale a firma del Gip del Tribunale di Napoli Fabrizio Finamore, su richiesta della Dda di Napoli e in particolare dei magistrati antimafia Simona Rossi e Luigi Landolfi.

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