PARTENIO 2.0/ Le mire espansionistiche del clan de O’ Milord: “Stiamo rifacendo la banda della Magliana”

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“Stiamo rifacendo la banda della Magliana”. E’ tutta nelle parole intercettate di Ernesto Nigro, detto Ciambone, ostentate a moglie e madre, la pericolosità del clan Partenio 2.0, quello nato dalla ceneri del clan Genovese prima e Partenio poi e disarticolato dalla maxi-operazione di Carabinieri e Guardia di Finanza di lunedì mattina. 23 arresti e 17 indagati, quest’ultimi ritenuti il braccio economico del clan che si finanziava tramite estorsioni e usura, applicando tassi d’interesse del 20% mensili e pizzi del 3%. “Su lavori di 5, 6, 7, 8 milioni di euro so soldi” spiegava lo stesso Nigro.

Quest’ultimo, da vittima di usura del sodalizio criminoso di Mercogliano, era stato incoronato “capozona” dell’Alta Irpinia da Pasquale Galdieri detto O’ Milord, anche lui finito agli arresti in quanto ritenuto il “perno” dell’organizzazione, o almeno così lo descrivevano gli affiliati nelle intercettazioni.

“Ciambone” godeva del massimo appoggio da parte di Galdieri, mentre non era visto di buon occhio da un altro importante affiliato, ovvero Carmine Valente detto Caramella, noto per la sua appartenenza al clan Cava di Quindici, che, pur mantenendo un ruolo determinante all’interno del nuovo consesso criminoso, aveva deposto il ruolo apicale e di nuovo capo-fautore a favore di Galdieri.

Quest’ultimo puntava su Nigro per estendere sempre più la “longa manus” del clan, in modo da fagocitare nuovi accoliti e seguaci e sostituire e ricambiare i vecchi associati.

“Come boss dell’Alta Irpinia sto reclutando anche soldati… dobbiamo andare dove dobbiamo andare”. Si vantava Ciambone con la moglie. Un’intercettazione ritenuta particolarmente significativa dal Gip del Tribunale di Napoli Fabrizio Finamore, firmatario dell’ordinanza di misura cautelare, della particolare ferocia del clan che ambiva ad estendersi in diverse zone dell’Irpinia, tra cui l’Alta Irpinia, da sempre ritenuta estranea ad episodi di stampo camorristico.

“La rabbia mia sa qual è? Che non ci sta gente buona per le parti nostre” si lamentava il boss dell’Alta Irpinia, che invece descriveva così l’organizzazione di Avellino: “Non te la immagini proprio, sono organizzati ai millesimi”. Ma il suo ruolo non era solo quello di cercare nuovi associati. Nigro, per la sua zona di competenza, individuava imprese da far cadere nella sua attività estorsiva.

Una morsa tentacolare della consorteria criminale che non lasciava scampo. Ma c’era anche il coraggio delle vittime di usura: almeno 11 le persone ascoltate in caserma dai Carabinieri che raccontano, chi in modo più aperto chi meno, come la loro vita sia piombata nel terrore più totale. Una condizione ormai insostenibile che il Gip riassume descrivendo gli estorsori come “Mangiatori di vittime fino ad annientarle come persone, fino ad asciugare rinsecchire i loro corpi, rendendoli completamente emaciati, consumati, defedati”.

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