Omicidio Gioia, ridotte le condanne ai fidanzatini killer: da 24 a 18 anni

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Giovanni Limata ed Elena Gioia

AVELLINO- Riformata la sentenza di primo grado e la condanna a 24 anni di reclusione per i due autori dell’omicidio di Aldo Gioia, ovvero la figlia della stessa vittima Elena e Giovanni Limata. Da ventiquattro anni di reclusione a diciotto anni. Il presidente della V Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli Ginevra Abbamondi ha letto pochi minuti fa in aula il verdetto per i due giovani noti come “fidanzatini killer”.

A Giovanni Limata i magistrati hanno riconosciuto il vizio parziale di mente, per Elena e’ stato accolto il discorso relativo alla prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti. Nell’ultima udienza Giovanni Limata aveva inviato una lettera per chiedere perdono per quanto aveva compiuto e anche per sollecitare l’escussione in aula di persone informate sui fatti che erano state sentite in primo grado, dichiarando di non aver inferto che tre coltellate ad Aldo Gioia. Anche le parti avevano rassegnato le loro conclusioni davanti alla Corte, a partire dalle parti civili, l’avvocato Sartori, che difende la moglie e la figlia di Aldo Gioia, costituite solo contro Limata. A seguire l’avvocato Brigida Cesta, che difende i fratelli di Aldo Gioia, costituiti contro i due imputati. Infine gli avvocati Livia Rossi, difensore di Elena Gioia e Rolando Iorio, difensore di Giovanni Limata.

IL DELITTO E LE INDAGINI
Come e’ noto la vicenda giudiziaria si riferisce al gravissimo fatto di sangue avvenuto intorno alle 22:30 del 23 aprile 2021 all’interno dell’appartamento della famiglia Gioia al civico 253 di Corso Vittorio Emanuele ad Avellino. Alle successive 22: 38 giungeva una telefonata alla sala operativa della Questura di Avellino da parte di una donna, si trattava di Liana Ferrajolo, moglie della vittima, per chiedere l’intervento delle forze dell’ordine poiché il marito era stato accoltellato. In effetti Aldo Gioia era stato rinvenuto dal personale della “Volanti” riverso nel salone di casa. con la figlia Emilia che tentava di tamponare la copiosa perdita di sangue con una tovaglia. L’ uomo sarebbe deceduto poco dopo la mezzanotte del 24 aprile 2021 all’ospedale Moscati di Avellino. Nel corso del sopralluogo eseguito dal personale della polizia scientifica all’interno dell’immobile, nei locali sottoscala in prossimità dell’ascensore veniva rinvenuto un giubbino nero e un fodero di coltello di colore nero e all’interno del giubbino, oltre a capelli, biancheria e fogli di carta era stata rinvenuta una tessera sanitaria intestata a Limata Giovanni classe 98 di Cervinara. Limata era stato scoperto presso l’abitazione dei genitori a Cervinara e in una borsetta nera era stata anche recuperata l’arma del delitto, consegnata dallo stesso imputato. All’esame esterno eseguito sul corpo della vittima dalla dottoressa Carmen Sementa la salma di Aldo Gioia presentava ben 14 lesioni da arma bianca classificabili come lesioni da taglio localizzate sia agli arti superiori che a quelli inferiori. Le quattro all’altezza del torace avevano attinto gli organi interni. Le ferite erano compatibili con il coltello sequestrato. Lo stesso Limata, condotto in Questura dagli agenti della Squadra Mobile e gli ordini del vice questore Giancarlo Aurilia ammetteva di essere l’odore del delitto e soprattutto faceva il primo riferimento al coinvolgimento di Elena Gioia nella programmazione del delitto. Il processo con rito immediato era iniziato davanti ai giudici della Corte di Assise il 24 ottobre del 2021.

LA SENTENZA
Nel corso dell’istruttoria di primo grado sono stati tre i temi principali su cui è ruotata poi la discussione e la decisione finale. La premeditazione, contestata come aggravante dallo stesso pm della Procura di Avellino che ha condotto le indagini, il sostituto procuratore Vincenzo Russo. Ed una delle prima valutazioni contenute nella sentenza si riferisce proprio alla premeditazione. Accogliendo la tesi della Procura, tra l’altro avvalorata da una serie di riscontri emersi soprattutto dalla mole di messaggi e dalle testimonianze riportate in aula da tre testimoni, tutte legate a Limata. “E quel che maggiormente interessa-scrive il giudice Scarlato nelle sue motivazioni- vanno evidenziate le conversazioni che i due imputati si scambiano a partire dal giorno 17 aprile: emerge infatti in maniera lampante che essi, in quella data, hanno già maturato Il proposito criminoso che, nel suo momento iniziale effettivamente contemplava la eliminazione fisica dell’intero nucleo familiare di Elena”. Tra l’ altro come ricordato dalle due donne che vivevano con Limata e da un’amica dello stesso, il ventenne di Cervinara da alcuni giorni portava avanti su un calendario e negli stati di whatsapp un vero e proprio “countdown” della morte. “In definitiva- si legge nella sentenza- come fu da subito chiaro attraverso gli elementi in sintesi riportati, e’ certo che l’omicidio di Aldo Gioia fu ideato, organizzato ed eseguito dai due imputati in concorso fra di loro”. Del resto ci sono state anche le confessioni dei due imputati.