IL QUOTIDIANO….OGGI: “Una notte già scritta”

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Prendiamo lo spunto dalle acute osservazioni apparse oggi sul Corriere della Sera di Mario Sconcerti, giornalista sportivo di grande spessore e competenza.La guerriglia di Catania, con la morte di un poliziotto, con feriti e incidenti che hanno trasformato la città etnea in una piccola Beirut, impongono riflessioni serie ed atti conseguenziali per fermare la violenza nei campi e fuori. Questa è una notte che arriva da molto lontano ed era già scritta. L’orgoglio di essere contro, la finta diversità di quelli che cercano ciò che non sono dietro una bandiera calcistica. Qualche estremismo politico reso alla moda dagli slogan sui cartelli che le televisioni rendono pubblici. Slogan su cui vanno a dibattere i sociologi nelle televisioni stesse, così che il giro si chiude. Ma ci sono tempi in cui la sciocchezza prende la mano e vince. È inevitabile. E quando la morte arriva colpisce tutti alle spalle in questa squallida guerriglia di seconda mano. Nessuno vorrebbe uccidere, ma troppi vogliono far qualcosa. Troppi hanno il loro piccolo estremismo da portare avanti. E a volte capita di sbagliare la misura, di togliere la vita a un innocente e rovinare la propria per una sera in cui si cerca una diversità violenta. Il calcio è una cosa molto grande, ha lo spazio delle televisioni e il carisma delle religioni, ma non vale una morte. Non ne ha la serietà, l’importanza, il senso assoluto. Il calcio è movimento. La morte è una fine. Un’interruzione definitiva. Nessuno nel calcio ha la serietà, direi quasi la professionalità, per voler uccidere qualcuno. È una buffonata drammatica, una danza macabra che scappa di mano. Ma c’è sempre anche qualcosa che si poteva fare e non è stato fatto. Che significato aveva spostare la partita dalla domenica al venerdì semplicemente perché a Catania domenica era la festa del santo patrono? In mano a quale destino siamo finiti se basta questa piccola interazione fra calcio e calendario per creare un problema irrisolvibile? Le guerriglie nel calcio non sono mai spontanee. Hanno tempi precisi e si conoscono. Non c’è Digos che non abbia infiltrati e non le sappia. Lo spostamento della partita stavolta indica la conoscenza di un pericolo evidente. Il caso, il dramma, ha voluto ci rimettesse la vita un agente. Ma la battaglia era prevista e se si accetta la logica della battaglia bisogna purtroppo anche accettarne le vittime. La domanda allora è questa: bisogna lasciare che il calcio sia battaglia? Bisogna lasciare che le curve rappresentino le città e il senso generale del calcio? La risposta oggi è perfino pleonastica, ma resta logica da tanto tempo. Tutti sono stufi della violenza delle curve fanatiche e politicizzate; delle curve in cui si spaccia droga; delle curve che ricattano le società per biglietti, trasferte e merchandising; delle curve in cui si dà addosso agli ebrei per coprire almeno di un finto ideale i propri mercati illegali. Delle curve che si prendono il nome di tutto lo stadio e di tutta la città. Nessuno vuole una guerra contro le curve, ma nessuno vuole più nemmeno essere mischiato con i loro interessi. Con i loro delitti. Forse questo povero ragazzo, la cui vita è esplosa ieri notte insieme a una bomba carta, può dimostrare l’ultima verità, la più drammatica, la più scomoda. Che uno Stato non può accettare questa violenza di confine che dura da trent’anni e ogni stagione si allarga. Uno Stato ha il dovere di difendere tutto il resto dello stadio e tutti i suoi rappresentanti. Se i piccoli sciocchi guerrieri della domenica tolgono vite e fanno danni come guerrieri veri, occorre dare loro la stessa nobiltà del nemico. La stessa prevenzione e soprattutto le stesse pene. Mario Sconcerti

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