LAURO- “Non vi è, allo stato, alcun decreto di chiusura o di diversa destinazione”. A distanza di due mesi dal trasferimento delle detenute rimaste all’Icam (Istituto a custodia attenuata per detenute madri) di Lauro, questa è stata la risposta del Ministro della Giustizia Carlo Nordio all’interrogazione presentata da Ada Lopreiato , senatrice del Movimento Cinque Stelle, che aveva sollecitato al Guardasigilli chiarimenti sulla chiusura dell’Icam di Lauro, unico istituto a custodia attenuata nel Mezzogiorno e sul futuro della struttura detentiva irpina. Nell’interrogazione della senatrice pentastellata si chiedava: “quali siano le motivazioni che hanno portato alla chiusura dell’ICAM di Lauro e se siano stati presi in considerazione gli effetti di tale scelta sulle detenute e sui loro figli, così come le possibili ripercussioni sociali e familiari”. A distanza di quasi tre mesi, arriva la risposta del Guardasigilli: ” Il competente dipartimento-scrive Nordio nella sua risposta- opportunamente interessato, ha riferito che la casa circondariale di Lauro, con decreto ministeriale 3 ottobre 2016, venne trasformata in istituto a custodia attenuata per detenute madri, sezione distaccata della casa circondariale di Avellino e, ad oggi, consta di 20 camere di pernottamento detentive, per un totale di 50 posti regolamentari. Alla data del 9 marzo 2025 presso l’ICAM di Lauro non sono più presenti detenute; tuttavia, non vi è, allo stato, alcun decreto di chiusura o di diversa destinazione”. La spiegazione della vicenda da parte del Ministro continua:
“Per quanto concerne le ultime tre detenute che ivi erano presenti con prole al seguito, che nel frattempo avevano fatto istanza al magistrato di sorveglianza di Avellino di essere ammesse alla detenzione domiciliare ex art. 47 quinquies dell’ordinamento penitenziario, il 6 febbraio 2025 la Direzione generale dei detenuti e del trattamento, nelle more della decisione, ne ha disposto il trasferimento extra distretto, rispettivamente negli ICAM della casa reclusione femminile di Venezia Giudecca e della casa circondariale di Milano San Vittore. Tali provvedimenti sono stati eseguiti il 24 febbraio. Alle detenute trasferite continuano a essere assicurati i contatti con i familiari e con terze persone, secondo quanto previsto dall’ordinamento penitenziario e dal relativo regolamento di esecuzione; a due detenute di nazionalità straniera, risulta che i colloqui vengono effettuati tramite “Skype” e non in presenza.Va comunque evidenziato che sezioni destinate a donne con prole di età non superiore ai 3 anni sono presenti nel Sud Italia, oltre che presso la casa circondariale di Avellino, anche presso gli istituti penitenziari di Foggia, Lecce, Castrovillari, Reggio Calabria “Panzera”, Messina, Agrigento, Cagliari e Sassari. Allo stato, inoltre, sono attivi l’ICAM annesso alla casa circondariale di Milano San Vittore, l’ICAM presente presso la casa di reclusione femminile di Venezia Giudecca e l’ICAM presente presso la casa circondariale di Torino “Lorusso e Cutugno””. Sulla questione legata alla presenza di istituti nel Mezzogiorno Nordio ha precisato che “con l’entrata in vigore della legge 21 aprile 2011, n. 62, recante “Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”, è stato inserito, fra l’altro, l’art. 285- bis del codice di procedura penale, il quale prevede che “nelle ipotesi di cui all’articolo 275, comma 4 c.p.p., se la persona da sottoporre a custodia cautelare sia donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, il giudice può disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze cautelali di eccezionale rilevanza lo consentano”. L’applicazione della “custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri”, in luogo dell’ordinaria modalità di attuazione della custodia cautelare in carcere, forma oggetto di una facoltà (e non di un obbligo) da parte del giudice, e resta comunque subordinata a una valutazione di compatibilità con le esigenze cautelati di natura eccezionale, ravvisabili di volta in volta nel caso concreto”. Un modello che “si impernia su un modello organizzativo di tipo comunitario da realizzare in sedi esterne agli istituti penitenziari, dotate di sistemi di sicurezza non riconoscibili dai bambini e prive dei tradizionali riferimenti all’edilizia carceraria; all’interno dell’istituto, gli stessi agenti di Polizia penitenziaria operano senza divisa. Attraverso questo tipo di strutture, si è inteso consentire ai figli delle detenute di trascorrere i loro primi anni in un ambiente familiare che non ricordi il carcere, riducendo, così, il rischio d’insorgenza di problemi legati allo sviluppo della sfera emotiva e relazionale. L’intervento educativo vede la presenza di operatori specializzati in grado di sostenere le detenute nella cura dei figli e di assicurare regolari uscite dei bambini all’esterno.Questo tipo di istituto prevede, inoltre, un percorso personalizzato per ogni detenuta, offrendo opportunità scolastiche, nonché di mediazione linguistica e culturale, garantendo quindi la salvaguardia della integrità psicofisica dei minori in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro crescita e formazione, dando prevalenza alle esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari e contemperando in tal modo le esigenze processuali e sociali della coercizione intramuraria con il diritto alla protezione costituzionale dell’infanzia, garantita dall’art. 31 della Costituzione”. Aerre
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