La memoria più sbrigativa associa al suo nome un motivetto insistente: “Ma tu vulive ‘a pizza, ‘a pizza, ‘a pizza…”, che presentò con Giorgio Gaber al Festival della canzone napoletana nel ’66, vincendo il secondo premio. Aurelio Fierro, scomparso oggi all’età di 81 anni, è però soprattutto l’interprete “smargiasso” di una canzone drammatica come “Ò Scapricciatiello”, con la quale il celebre Pasquariello decise di lanciarlo al premio “Voci nuove”, nel ’51, dove il giovane si classificò primo su seicento. Fierro fu alfiere della canzone napoletana, a Napoli, dove come consigliere comunale negli anni ’70 tentò di promuoverla e difenderla, e all’estero: soprattutto in Giappone, dove era popolarissimo. Ma le sue tournees lo portarono anche in Canada, Usa, dove solidarizzò con le comunità italo americane; in Europa e Australia. In testa il cappello bianco, modello Panama; un provinciale buono, nel ricordo degli amici: “bassino, rotondo e democristiano, con il viso sempre sorridente, accompagnato dal quel cane da presa di Marisa, sua moglie, una donna organizzata, pronta, con il piglio della manager«, come dice affettuosamente il regista e giornalista Nino Masiello. Dopo dieci anni di malattia, il cantante lascia due figli sulla quarantina, entrambi musicisti, Fabrizio il maggiore, Flavio, e l’erede del suo nome, il nipote, Aurelio Junior, batterista di talento. Nato a Montella, in provincia di Avellino, il 13 settembre del 1923, con un primo contratto con la Durium di Milano per incidere canzoni napoletane e italiane nel 1951, Fierro compie la sua scelta decisiva tre anni dopo, quando decide di fare il cantante, piuttosto che l’ingegnere. Cinque bis per “O scapricciatiello”, richiesti da un pubblico impazzito, alla festa di Porta Capuana (dopo un’audizione alla casa musicale di Bideri), decreta per lui un consenso popolare straordinario, oltre che un autentico record. Inizia un percorso estroso e denso di esperienze diverse, le tourneè all’estero in Canada e negli Usa (per la gente diventa Mr Scapricciatiello, nel ’56; e Mr Guaglione nel ’57; in una corrispondenza fra la persona, e i suoi successi); o in Giappone, dove nella sua biografia si registrano applausi lunghi otto minuti per “Core grato”. Fra i suoi successi anche “Lazzarella”, la canzone attorno alla quale è costruito anche uno dei suoi film, i cosiddetti “musicarelli”. Poi la partecipazione ai festival, quello della canzone napoletana, con tre vittorie; e le esibizioni a Sanremo nel 1958, nel 59, nel 61, nel 62 in duo con Gino Bramieri nella interpretazione di “Lui andava a cavallo” nel ’63 con Claudio Villa “Occhi neri e cielo blu”. Nella sua Napoli, come consigliere comunale Dc, sognava un museo della canzone napoletana, con tanto di teatrino per i turisti, un progetto avviato e naufragato, che avrebbe dovuto realizzarsi nella Casina dei Fiori della Villa comunale; mise in piedi anche una casa discografica, la King Universal, e un ristorante “A canzuncella”, che richiamava i clienti soprattutto il sabato sera, quando interveniva lui, con un “dinner show”. Attirato dall’idea di approfondire le origini della cultura napoletana, quelle linguistiche de “Lo cunto de li cunti”, fu autore di una “Grammatica della lingua napoletana”, con prefazione di Antonio Ghirelli; e di un libro commissionatogli dalla Rusconi di Milano “Fiabe e leggende napoletane”; non arriverà mai alle stampe invece “L’enciclopedia storica della canzone”, un progetto in quattro volumi che lo impegnò dai primi anni ’90. I napoletani ricordano la sua ultima esibizione, un anno e mezzo fa per i suoi 80 anni, a Napoli, a Santa Maria La Nova.
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