Dolce Vita, sul computer un’allucinazione collettiva?

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I lettori dovranno scusarci se, dopo la lettura delle variabili alla decisione della Sesta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, non avendo contezza precisa dei veri motivi dell’annullamento senza rinvio delle tre ordinanze che hanno riguardato l’ex sindaco Festa (due misure cautelari e il Riesame) non ci siamo avventurati in letture della decisione, visto che saranno solo le motivazioni dei giudici del collegio presieduto dal presidente De Amicis a stabilire quale sia il perimetro della decisione. Sarebbe stato più semplice, nel caso le difese avessero scelto uno o due motivi di impugnazione, immaginare e pronosticare i motivi del triplo annullamento. Per cui, da questo punto di vista continueremo ad avere una posizione di necessaria attesa per quello che deciderà la Cassazione. Sembra scontato che dal punto di vista umano, la conclusione di una lunga detenzione domiciliare e tutti gli effetti che una misura cautelare comporta in una famiglia, non possiamo che essere lieti che l’ex sindaco Gianluca Festa abbia guadagnato nuovamente la libertà, così come per chiunque altro nelle sue condizioni. Abbiamo anche tentato di avere risposte, nel corso della conferenza stampa organizzata dai suoi difensori su una vicenda che gli stessi difensori hanno proposto nel corso della stessa conferenza. Prima di affrontarla, però, vale la pena di ricordare che per la loro esperienze e competenza, probabile che sia il penalista Luigi Petrillo che il penalista Dario Vannetiello, che ormai esercita solo in Cassazione, azzardando ipotesi sulle motivazioni, abbiano contezza del range in cui si muove la Cassazione in queste circostanze. A loro, ma abbiamo già parlato di una “partita perfetta” in un precedente articolo, va il merito di aver ribaltato al momento almeno lo stato di cose, poi si vedrà se anche il merito e la sostanza delle cose. Ma torniamo all’unico fatto di merito affrontato dalle difese. Il famoso computer in uso all’ex sindaco Gianluca Festa, che nella prospettazione difensiva sarebbe stato asportato nel mese di gennaio e non come ricostruito dagli investigatori, ribadito dalla Procura e confermato dal Gip e dal Tribunale del Riesame, nel mese di marzo e successivamente ad una serie di perquisizioni eseguite a Palazzo di Città ed una “bonifica” dei locali dei suoi uffici da parte del sindaco Festa. Va ricordata una cosa. Relativamente a questa vicenda, oltre alle prove audio-video, su cui penderebbe una “spada di Damocle”, esiste anche la dichiarazione di un dipendente del Comune di Avellino che avrebbe fatto riferimento alla vicenda per cui oltre al peculato viene contestato anche il depistaggio. Si riferisce al marzo del 2024. Per cui, al netto della stessa dichiarazione, seppure volessimo ritenere che quel PC è stato asportato a gennaio e non a marzo, la domanda è un’altra: allora i PC in questo caso sono due? Sono scomparsi due PC dalla stanza dell’allora sindaco? Perché da gennaio a marzo in quella stanza viene comunque evidentemente ripreso un altro PC, un altro case, come tecnicamente si definisce. Vuol dire che ne esistevano due? Noi la domanda in conferenza stampa l’ abbiamo pure fatta, la risposta, usando un brocardo latino del penalista Luigi Petrillo e’ stata semplice: quod non est in actis non est in mundo (quello che non è presente negli atti non è presente nel mondo), rimandando ad una non necessaria esigenza di chiarire questa ed altre vicende nel caso in cui la valutazione dei giudici riguarderà l’utilizzabilita’ delle intercettazioni. Ci permettiamo di sottolineare che, seppure dal punto di vista giuridico questa valutazione potrebbe non fare una piega da quello politico, invece, la comunità ha bisogno di sapere la verità su quanto è avvenuto. Considerato che ci sono almeno tre profili in questa storia: la vicenda umana ha una sua dimensione, quella politica ed etica un altra e quella giudiziaria ancora diversamente un terzo. Siamo passati da una prospettazione felliniana (il richiamo alla Dolce Vita) ad una pagina di Dumas, quasi come se l’ex sindaco sia una sorta di Conte di Montecristo, imprigionato nello Chateau d’If con oscure manovre, perché vorrebbe dire che dalle parti di Piazza D’armi si aggirerebbe qualche Gerard De Villefort (il giudice cattivo del romanzo di Dumas) e questo, a meno di clamorose smentite, non ci sembra così evidente,tanto che la stessa difesa ha sempre vantato le doti dei magistrati che hanno condotto le indagini. Perché a quanto pare su questa storia del “case” sembra quasi sia avvenuta una sorta di “allucinazione collettiva”.