NOLA- “Risulta in particolare, provata l’esistenza, nel periodo di indagine, di un’associazione camorristica denominata clan Sangermano”.
E’ la conclusione rassegnata nelle 755 pagine di motivazione della sentenza del processo con rito abbreviato firmate dal Gup del Tribunale di Napoli Chiara Bardi nei confronti di Buonincontri Giuseppe 8 anni e 4 mesi (difeso dagli avvocati Pasquale Napolitano e Francesco Picca) , Sepe Onofrio, 9 anni e 4 mesi (difeso dall’avvocato Raffaele Bizzarro), Nappi Paolo 8 anni e 8 mesi (difeso dagli avvocati Raffaele Bizzarro e Marco Massimiliano Maffei) , Sepe Salvatore, 12 anni e 8 mesi ( difeso dagli avvocati Antonio Iorio e Giovanna Russo), Sangermano Agostino, 13 anni e 8 mesi(difeso dagli avvocati Raffaele Bizzarro e Nicola Quatrano). Assolto invece Ezio Mercogliano, difeso dall’avvocato Gaetano Aufiero.
Il Gup ha ritenuto provata l’esistenza del sodalizio anche alla luce del materiale probatorio raccolto dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna e dalla Dia, coordinati in primis dal pm antimafia Gianfranco Scarfo’ e successivamente dai pm Simona Rossi e Antonio D’ Alessio: ” Dal materiale probatorio illustrato e commentato- scrive il Gup- senza ombra di dubbio deve dirsi provato che gli imputati Sangermano Agostino, Sepe Salvatore, Sepe Onofrio, Nappi Paolo e Buonincontri Giuseppe abbiano consentito e garantito la sopravvivenza e la perdurante operatività del gruppo camorristico riferibile alla famiglia Sangermano.
La consorteria criminale composta dagli odierni imputati e da altri soggetti nei cui confronti si è proceduto separatamente, legati per la maggior parte da vincoli familiari, più o meno stretti, ha tutti i caratteri di cui all’art. 416 bis c.p., in considerazione dell’accertato utilizzo del metodo mafioso per il perseguimento dei propri scopi illeciti”.
Per il Gup: “Come detto, alcun dubbio sorge in ordine alla sussistenza nella fattispecie in esame di tutte le caratteristiche salienti dell’associazione per delinquere di stampo camorristico, che possono riassumersi nei seguenti elementi caratteristici: esistenza di un numero di persone superiori a tre, che condividono una serie di scopi illeciti (pactum sceleris),perseguiti attraverso la pratica del cd. metodo mafioso; esistenza di forti legami tra i sodali dell’associazione, spesso imparentati tra loro, accomunati dall’intento di garantire la sopravvivenza e l’operatività del sodalizio (affectio societatis) che si realizza attraverso un reciproco appoggio; esistenza di una organizzazione, caratterizzata da una precisa gerarchia, dotata di uomini, di mezzi e armi, predisposta al fine di raggiungere gli illeciti scopi che clan st prefissato, riconducibili al controllo e allo sfruttamento del territorio (attraverso la pratica delle estorsioni commercianti e imprenditori ed all’usura), nonché alla conquista dell’egemonia rispetto ad altre organizzazioni rivali, da sgominare con attentati e azioni di sangue.
Il contenuto delle conversazioni ambientali e telefoniche intercettate, letto alla luce delle dichiarazioni dei collaboratori escussi, offre all’interprete gli indicatori fattuali della riconducibilità della compagine criminale in disamina al paradigma normativo di cui all’art. 416 bis c.p”.
AGOSTINO SANGERMANO E’ IL CAPO
Nessun dubbio anche del fatto che Agostino Sangermano del sodalizio fosse il capo, per il Gup e’ altrettanto provata: “la responsabilità penale di costui per il reato associativo, con la qualifica di promotore/organizzatore correttamente attribuitagli dal P.M”.
Decisive non solo le risultanze investigative ma anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Per il giudice infatti: “ripercorrendo sinteticamente le fonti di prova raccolte, la posizione apicale rivestita dall’imputato emerge, innanzitutto, dalle dichiarazioni dei c.d.g. escussi.
Il collaboratore Acunzo ( il defunto Aniello Acunzo factotum per anni del defunto boss Biagio Cava) lo descrive quale personaggio di riferimento della criminalità dell’area nolana, mandante di azioni estorsive sul territorio nonché protagonista di prestiti a tassi usurai; lo stesso menziona alcuni risalenti incontri organizzati con il Sangermano per discutere e risolvere alcune divergenze insorte con il clan Cava sulla suddivisione dei territori di interesse criminale.
Del medesimo tenore sono le dichiarazioni, sopra riportate, dei cdg De Martino Salvatore e dei fratelli Di Domenico Marcello e Ciro; i collaboratori attribuiscono la figura di capo ad Agostino Sangermano e fanno riferimento alla conduzione familiare del clan, evidenziando il coinvolgimento di alcuni familiari. Ma, senza dubbio, la fonte principale di colpevolezza del Sangermano è rappresentata dal coacervo di intercettazioni in cui gli interlocutori, sia intranei che estranei al clan fanno riferimento alla sua figura quale primo referente del sodalizio criminale, nonché nelle numerose conversazioni in cui i sodali discutono della necessità di dover dar conto del loro operato all’odierno imputato”. In quanto a Sepe Salvatore, scrive il Gup: “Conosciuto nell’ambito criminale con il nomignolo di “Leoluca Bagarella”, proprio in virtù del rapporto di parentela con il boss, è stata riscontrata lasua compartecipazione in numerose attività illecite, tra le più significative figura sicuramente quella estorsiva e usuraia”.
MERCOGLIANO ASSOLTO: NESSUN CONTRIBUTO AL CLAN
Un capitolo a parte e’ quello legato al ruolo di Ezio Mercogliano, che è stato assolto da tutti i capi di imputazione. A partire dal reato fine di una presunta rapina ai danni di un cittadino romeno (in concorso con altri due indagati per cui e’ verosimile ci sarà archiviazione dalla accuse). Per il Gup la parte offesa non ha fornito infatti, come aveva sostenuto il penalista Gaetano Aufiero, difensore di Mercogliano, una tesi attendibile. Per quanto riguarda il profilo legato all’associazione, sempre il Gup scrive nella sentenza: “In sostanza, dal compendio probatorio acquisito nessun specifico contributo alla vita dell’associazione è chiaramente attribuibile al Mercogliano Ezio che, nelle occasioni riportate non fa altro che avvertire il padre della presenza delle Forze dell’Ordine all’interno della propria abitazione e di una telecamera installata all’esterno; voler dedurre da ciò la sussistenza di una condotta di partecipazione all’associazione, in assenza di responsabilità per reati -fine della stessa, non è, a parere della scrivente, una conclusione condivisibile (né elementi di segno contrario possono desumersi dalla circostanza, assolutamente neutra alla luce della conoscenza tra i due, che Sangermano Agostino incaricava la madre di dire al figlio Ezio di recarsi presso la sua abitazione ove era presente il padre per consegnargli il telefono dimenticato a casa)”.