Autostrade, l’Anticorruzione avvalora la tesi della Procura di Avellino: “Manutenzione estremamente esigua per garantire sicurezza”

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Il 2,2%. Tanto è la spesa prevista nei piani economico-finanziari delle concessionarie autostradali per la manutenzione di 7.317 ponti. E’ quanto scrive l’Anac (l’Anticorruzione) nelle 14 pagine d’indagine conoscitiva sui concessionari autostradali consegnata al Governo (QUI PER LEGGERLA INTEGRALMENTE).

L’indagine si è concentrata sulle 19 concessionarie (in tutto sono 22, quindi parliamo dell’86% del totale, numero definito “altamente significativo”) che dalla relazione 2016 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti risultavano aver realizzato investimenti per una percentuale inferiore al 90% rispetto a quelli programmati, almeno su singoli interventi: da Autostrade per l’Italia all’Asti Cuneo fino al Brennero e alla Milano-Serravalle passando per la Società Autostrada Tirrenica, l’A4 e l’Autostrada dei Fiori.

Da quello che emerge, insomma, risulterebbe più di un’ombra sulla gestione e sul reale perseguimento dell’interesse pubblico che, ricorda l’Autorità nazionale anticorruzione, guidata da Raffaele Cantone (ora dimissionario), è “sotteso alle gestioni concessorie”.

Due le criticità segnalate particolarmente: il “forte degrado” del ponte sul fiume Po e di un sottopasso nella stessa tratta e quindi la necessità di demolire e ricostruire le due opere, nonché i “gravi danni” causati dal terremoto 2009 sui viadotti della rete autostradale A24 e A25, ancora non completamente adeguati sotto il profilo sismico.

Da qui le indicazioni a effettuare verifiche periodiche e a prevedere l’obbligo, se necessario, di intervenire tempestivamente per assicurare la sicurezza di chi percorre le tratte autostradali. Un’indicazione, insomma, rivolta dall’Anticorruzione al Governo, in quanto c’è “l’esigenza di fornire ai concessionari autostradali indicazioni univoche” circa “la necessità di uniformare alcune fasi della gestione”.

Il pensiero, in questo caso, va ovviamente al Ponte Morandi di Genova, crollato alle 11:36 dello scorso 14 agosto portando con sé le vite di 43 persone. E’ 40 furono pure le vittime della strage di Acqualonga del 28 luglio 2013, avvenuta sul viadotto dell’autostrada A16 Napoli-Canosa, nel tratto di Monteforte Irpino. Il più grave disastro avvenuto sulle strade italiane prima del ponte di Genova.

Due tragedie che potrebbero essere unite da un unico filo conduttore: la scarsa manutenzione da parte delle società concessionarie. Certo per il ponte Morandi l’indagine è ancora in fase embrionale, ma per l’incidente di Acqualonga si è giunti a prima verità giudiziaria con la sentenza penale di primo grado pronunciata a gennaio e con quella civile depositata da qualche settimana. In entrambi i casi sono state indicate responsabilità in capo ad Autostrade per l’Italia, una delle maggiori stazioni appaltanti d’Italia, la cui mancata manutenzione poteva sembrare solo una concausa ma poi, guardasi appunto il crollo del ponte Morandi, si è dimostrata di rilevante incidenza.

Ad anticipare l’indagine dell’Anac, sull’esigua spesa manutentiva da parte delle concessionarie, era stato già ad ottobre 2018 il Procuratore della Repubblica di Avellino Rosario Cantelmo, titolare di ben due inchieste sulla sicurezza delle nostre autostrade, il quale, durante la requisitoria per il processo parlava così: “Su 1.977 chilometri sono state sostituite le barriere di 2° impianto soltanto per 10 chilometri. Una percentuale dello 0,5% e, signor giudice (riferendosi al giudice monocratico Luigi Buono, ndr), non si è trattato di un’interferenza del microfono, ma ho detto proprio lo 0,5%. Naturalmente non si sa quali siano i chilometri interessati dai lavori e quando quest’attività sia stata realizzata”.

Per la Guardia di Finanza, nel 2012, anno che precede il terribile disastro, i ricavi di Autostrade sono stati pari a 3.885.303.ooo di euro, ovvero quasi quattro miliardi, a fronte di 1.472.074.000 euro spesi per la manutenzione dei viadotti, tra i quali Acqualonga. Molto meno della metà, visto che in percentuale rappresenta il 37% dei ricavi totali.

“Allora – diceva ancora Cantelmo sempre nella requisitoria del 2018 – il residuo della somma non utilizzata in manutenzione rappresenta i profitti. Se è così non si tratta di semplici profitti ma di avidità di profitti“. Il pm avrebbe volentieri sentito a riguardo l’allora Amministratore Delegato di Aspi Giovanni Castellucci, imputato nel processo e poi assolto, anche se la Procura ha avanzato ricorso in Appello, tuttavia questi non si è mai presentato. “Un atteggiamento – diceva ancora il Procuratore – assunto per l’intero processo”.

E quelle parole, alla luce dell’ultima indagine dell’Anac, assumono i connotati di un oscuro presagio, un monito mai realmente raccolto anche a livello mediatico nazionale. Un urlo d’allarme sulla sicurezza proveniente dalle aule del Tribunale di Avellino che avrebbe dovuto far riflettere sullo stato di fragilità delle nostre infrastrutture e che invece è rimasto inascoltato, come testimoniano le macerie di Genova.