Uno storico vero per una storia che merita di essere ricostruita. E’ il direttore onorario dell’archivio storico della città di Avellino Andrea Massaro che nel corso della conferenza stampa svoltasi a Piazza del Popolo spiega il percorso di una stemma e di un gonfalone che nel tempo, hanno subito variazioni. Uno studio accurato che ha consentito di rappresentare l’araldica della città capoluogo. Spulciati con dovizia di particolari i documenti – quali il decreto di riconoscimento del 23 dicembre 1938 relativo allo stemma e rilasciato dalla Consulta Araldica, e quello della stessa Consulta, che porta la data del primo dicembre 1938, riferito ad un altro Decreto interessante la descrizione del gonfalone – Massaro ha centrato l’obiettivo. “Lo stemma – spiega Massaro – trae origini da quello della chiesa di Avellino. E’ l’agnus dei, uno dei simboli più efficaci del cristianesimo. Lo stesso ha ispirato, nei secoli, schiere di valenti artisti nel rappresentarlo quale messaggio lasciato all’umanità”. Dunque “il simbolo della nostra città deve essere riconosciuto nella sua più nobile interpretazione dissipando le dicerie con le quali si ironizza sullo stemma cittadino, inopportunamente ritenuto rappresentato da una ‘pecora’. Numerosi i sigilli in cera, in avorio e metallo conservati nei vari musei della cristianità, ove si trovano i cimeli dei primi secoli dopo Cristo. Nella iconografia artistica sia dei sigilli, sia delle raffigurazioni più antiche, l’agnello è rappresentato in posizione adagiata”. “Nella nostra città, anche nelle raffigurazioni artistiche, nel corso degli anni sono apparse alcune varianti del nostro stemma, dovute all’interpretazione degli artisti, come il caso del dipinto di Uva, sul quale sono poi continuate le varie riproduzioni”. “Testimonianze dello stemma si trovavano in vari posti della città. Era impresso sullo schienale di cuoio delle sedie riservate al sindaco e agli amministratori di Avellino in occasione della loro partecipazione alle funzioni sacre tenute nella cattedrale. Uno stemma scolpito nel marmo si trovava, in alto, sulla facciata della fontana dei “Tre Cannoni” di via Costantinopoli, oggi custodito nella sala espositiva del carcere borbonico a cura della Sovrintendenza ai Beni Culturali”.
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