21 marzo 2015: Avellino-Perugia 1-2 con la doppietta di Falcinelli nel finale che vanifica il vantaggio del primo tempo di Trotta. Otto mesi dopo la storia si ripete: il grifo esce dalla tana del lupo col bottino pieno nel sacco grazie ad una nuova rimonta, questa volta firmata da Di Carmine e Parigini. Da Rastelli a Tesser il copione si è riproposto con tratti tremendamente simili nella modalità della sconfitta. Una sfumatura beffarda per l’Avellino che, al di là della tradizione negativa con gli umbri, deve interrogarsi su una miriade di temi.
Il primo che emerge con una certa evidenza riguarda l’incapacità dei biancoverdi di tenere una condotta coerente e lineare nell’arco dei novanta e passa minuti. Dalla trasferta di Pescara, l’Avellino ha imparato a giocare soltanto un tempo ed in maniera sfalsata. Se infatti all’Adriatico gli uomini di Tesser si sono svegliati tardivamente nella ripresa, contro il Perugia la reattività è appartenuta soltanto alla prima frazione. Alla seconda uscita dal tunnel degli spogliatoi invece il nulla. Squadra involuta e impaurita non appena Bisoli ha ordinato ai suoi di intensificare le operazioni alla ricerca del pari, diktat esplicitato a chiare lettere con l’innesto nel tridente di Fabinho, certamente più spigliato di uno Zapata molto più propenso a contenere che a graffiare.
Un atteggiamento favorito dall’oramai immancabile scorta di infortuni che, nel giro di due minuti a cavallo del quarto d’ora del secondo tempo sull’1-1, hanno costretto Tesser a richiamare in panchina prima Insigne e poi Mokulu. Per loro guai muscolari che saranno valutati in seguito ma che intanto fanno riflettere sulla condizione fisica generale assai precaria del gruppo biancoverde, reiteratamente falcidiato da acciacchi o infortuni più gravi sin dall’inizio della stagione e con una certa insistenza da un mese a questa parte.
Il calo fisico dell’Avellino è stato evidente e ammesso dallo stesso Tesser che ha provato a venire a capo della situazione a caldo con gli uomini del suo staff tecnico, quasi a voler cercare subito le risposte necessarie per ripartire. Anche la società ha cercato di capire nell’immediato post partita i motivi del crollo verticale che ha riportato i lupi alle origini di questo campionato.
Confronti privati mentre pubblici sono stati i dubbi esternati per la prima volta dal tecnico biancoverde, il quale in sala stampa ha vacillato augurandosi di non aver sbagliato qualcosa sul lavoro atletico. Una crepa assolutamente non trascurabile nelle convinzioni di un allenatore che, se dal punto di vista tattico e delle scelte è inattaccabile, sul piano della gestione degli infortuni avrebbe potuto utilizzare maggiore cautela evitando le forzature di Rea, Ligi e Biraschi le cui assenze hanno scompaginato lo status quo difensivo per ben dieci volte in stagione.
La preoccupante percezione di queste ore è che la piazza lo abbia scaricato una volta per tutte. La fiducia del club c’è: Tesser è blindatissimo ma alla lunga diventerà difficile per lui convivere con la disistima professionale (si badi bene non dell’uomo, intellettualmente onesto e dai modi garbati che ne fanno un gentleman) di gran parte della platea irpina. Eppure se si analizza l’operato dell’uomo guida dei lupi non si ravvisano ragioni tali da giustificare un suo siluramento. Tesser si è ravveduto sulle scelte iniziali negli interpreti, costruendo la serie positiva del post Vicenza sulla solidità del nuovo assetto romboidale con Jidayi e Bastien capaci di offrire maggiori garanzie di equilibrio rispetto a Zito e Insigne. Da allora il 4-3-1-2 è diventato la via tattica maestra ed un allenatore può farci ben poco se un difensore sbaglia la diagonale o si addormenta su un pallone.
Tesser avrebbe potuto certamente adottare una gestione più oculata e prudente degli infortuni come già evidenziato in precedenza o concedere una chance a Petricciuolo come ultima spiaggia sulla fascia destra profanata dagli avversari in tutte le partite. Ma non sono motivazioni da porre alla base della valutazione di un esonero. A meno che non lo si motivi con la classica necessità della scossa, aspetto svincolato da qualsiasi logica causale. Intanto l’abbraccio di giugno con la torcida è un ricordo sbiadito. L’idillio è al tramonto.
Il ritorno di Castaldo, acclamato a furor di popolo come il salvatore della patria (a proposito: maneggiare con cura senza troppa pressione), non tanto in termini realizzativi (con i quali l’Avellino ha confidenza) bensì carismatici e leaderistici, e il mercato di gennaio dovranno risollevare un Avellino di nuovo in crisi di identità alla soglia di un dicembre sulla carta non proibitivo (vietate in Serie B definizioni del tipo “agevole” o “in discesa”) ma intenso con sei appuntamenti tutti d’un fiato per svoltare nella migliore condizione possibile al giro di boa.