Ammaturo, Cirillo, Calvi e la Nco. I diari segreti di Cutolo nel libro di Di Meo ed Esposito

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AVELLINO- Ne’ un’apologia della camorra ne’ la solita ricostruzione del profilo criminale di uno dei boss della criminalita’ organizzata che si avvicinano al modello dei capi dei cartelli colombiani, capaci cioe’ anche di trasformarsi in realtà che possono sedersi al tavolo con lo Stato, quella parte delle istituzioni che ovviamente viola il patto di onore e dignità con cui si amministra la cosa pubblica. Un ritratto inedito di Raffaele Cutolo, o professore come la storia criminale ci ha ormai abituato o “Raffaele delle monache” ricordando il soprannome dato a suo padre nella cittadina che prende il nome da un imperatore, quello che emerge dalle circa 500 pagine del libro edito da Piemme e in libreria dallo scorso 29 ottobre, scritto dal giornalista Simone Di Meo e l’artista Gianluigi Esposito, cantante e autore teatrale, sulla base di migliaia di documenti inediti appartenuti proprio a Raffale Cutolo e conservati da quello che nell’incipit del libro viene chiamato il “Guardiano” in una sorta di “museo” nella cittadina di Angri. “I diari segreti di Raffaele Cutolo” raccontano, come si legge nel sottotitolo del libro :la storia mai raccontata del più potente boss della camorra”. Ed è proprio così, perché anche se Raffaele Cutolo e’ morto il 17 febbraio del 2021 a Parma, a distanza di ormai quasi quattro anni per il boss fondatore della Nco (Nuova Camorra Organizzata) non c’è la damnatio memoriae che meriterebbe un criminale feroce e sanguinario come e’ stato “o professore” di Ottaviano, ma addirittura oltre che una sorta di vendicatore degli oppressi la sua per molti continua ad essere una immagine iconica. Tanto che ci sarebbero persone che vanno ancora a caccia di piccoli “cimeli” e ricordi del boss. Ma non si fanno affari sulla memoria di Raffaele Cutolo, come avrebbe esplicitamente disposto la sua famiglia. Niente soldi, ma qualche piccolo oggetto donato dal “Guardiano” senza alcun lucro. Più che un semplice e potente padrino, l’ultimo capace di riunire a livello camorristico piu’ famiglie e anche costringere a farne federare molte altre contro di lui Raffaele Cutolo e’ raccontato sulla base dei suoi stessi scritti come un “politico” capace di far dialogare lo Stato e le Brigate Rosse. Ma cosa raccontano Di Meo ed Esposito. Nei “Diari Segreti di Raffaele Cutolo” non ci sara’ solo la vicenda giudiziaria, ma attraverso decine di lettere, memoriali, diari e confessioni raccolte dal boss della Nco in mezzo secolo di carcere, quella che è la visone “politica” di Cutolo. In uno dei tanti documenti a cui si fa riferimento nel libro, c’è un biglietto in cui se ne riassume larga parte: “noi facciamo la giustizia vera…ci ha portato a questo la mancanza di giustizia e le tante ingiustizie”. Una sorta di Robin Hood della camorra. Grazie ai documenti inediti visionati e studiati da Di Meo ed Esposito ci sono particolari nuovi su tante vicende che hanno riguardato la storia del boss. A partire dal suo primo omicidio. Gli autori lo definiscono uno sliding doors (un fatto che cambia la vita ndr), l’omicidio di Mario Viscito, avvenuto il 24 febbraio 1963 ad Ottaviano. La vera storia parla di un delitto nato dopo una lite per uno schiaffo che Cutolo aveva dato ad una ragazza del posto che lo aveva apostrofato come un cretino. Per quella vicenda nel libro esiste un documento inedito. Una sorta di ricostruzione che lo stesso Cutolo a distanza di anni fa della storia. Abbiamo scelto una piccolissima parte delle vicende rilette grazie alla “testimonianza post mortem” attraverso i documenti da parte dello stesso Raffaele Cutolo e presenti nel libro. A partire dalla fine. Nel carcere dell’Asinara, dove Cutolo viene spedito dopo lo scandalo per il caso Cirillo. Qui il boss non parla con nessuno, anzi nessuno, anche gli stessi agenti penitenziari gli rivolgono la parola. Il solo contatto con una forma vivente e’ un topo. Ma viene ucciso e allora in una lettera Cutolo racconta delle lacrime per un topo morto. Immaginare che uno dei più feroci capi della camorra possa piangere per un animale morto, avendo ordinato decine di omicidi, resta una delle parti più “introspettive” della figura del capo della Nco nel libro. Ma sempre all’Asinara c’e’ un fatto inedito che raccontano Di Meo ed Esposito. La storia che arriva dall’Asinara, dove grazie alla testimonianza di una persona presente al momento della telefonata , nel libro si scopre anche che Cutolo riuscì a rompere quello che e’ nella storia comune l’isolamento totale a cui sarebbe stato sottoposto. Avrebbe infatti contattato a telefono uno dei suoi luogotenenti più famosi, Pasquale Scotti, si, proprio “o collier”, anche lui latitante per anni, poi pentito non ritenuto credibile dalla Dda. Un’altra figura misteriosa, come quella di Vincenzo Casillo, o nirone, fatto saltare in aria a Roma. Qui Cutolo ha un’idea anche romantica e di affetto di quell”omicidio. Ed è una storia che rimanda ad un’altra vicenda davvero misteriosa d’Italia. La morte di Roberto Calvi, il banchiere del Crac al Banco Ambrosiano. Secondo Cutolo, proprio Casillo potrebbe essere uno degli autori di quel delitto, l’impiccagione sotto il ponte dei Frati Neri a Londra solo una messinscena. Cosa lega il sequestro Cirillo, la morte di Calvi e la fine del boss di Ottaviano. Bene, questo sarà bello e interessante leggerlo direttamente dal libro. Invece c’è una lettera inviata alla moglie Immacolata Iacone, che lui chiama semplicemente “Tina”, in cui emerge come Cutolo fosse odiato e ricambiasse anche questo sentimento, dai Corleonesi. Anzi, in un’altra parte del libro si accenna ad una sorta di “taglia” di 500 milioni delle vecchie lire sulla testa del boss da parte dei siciliani. Ecco uno stralcio della lettera:

“Credo che l’avvocato Aufiero (il penalista Gaetano Aufiero, che ha assistito il boss fino alla sua morte nel febbraio del 2021 a Parma) ti abbia parlato del nuovo ordine di cattura, fattomi avere dal sig, Alfieri e i suoi degni compari. Mi accusano di aver fatto uccidere ad agosto del 1976 a Poggioreale il boss Nico Tripodi. compare di matrimonio di Salvatore Riina. Sono innocente ma sono stanco e non mi va nemmeno di difendermi.Se fossi stato colpevole i giudici della procura di Napoli già mi avrebbero imputato e condannato. Quello che mi fa rabbia è che ; giudici calabresi senza neppure interrogarmi, mi hanno rinviato a giudizio. Hanno subito creduto a questi cialtroni, cosiddetti “pentiti”. Senza capire che Alfieri e soci, per stare fuori dal carcere seminano odio e calunnie. Hanno detto un sacco di menzogne e falsita’, asseriscono che io dovevo fare questo favore ai calabresi, perché chì mi aveva <indottrinato>, chi dato la Santa e chi dice che io sono il Vangelo e che ho una croce tatuata con il sangue sulla spalla, invece non ho nessuna croce, Sanno tutti che io sono stato il capo assoluto della Nco in Campania e combattevo sia i siciliani che i calabresi, perché volevo la dignità della Campania, anche se oggi, senza falsa retorica, dico che era tutto sbagliato. Poi, io non ho avuto mai padroni, sono sempre stato io il padrone di me stesso.L’unico mio “maestro” è stato don Vittorio Nappo di Scafati, capo della vecchia camorra. Ho creato io, puttroppo dico oggi, la Nco,senza chiedere il permesso a nessuno e questo ormai è storia”.
Uno dei miti che ancora rendono iconica la figura di Raffaele Cutolo e’ legato al fatto che non abbia mai parlato in mezzo secolo di carcere con i magistrati. Anche qui però nel libro di Di Meo ci sono due fatti inediti.
Uno in particolare, con una data ed un luogo preciso, l’8 febbraio 1994 nel carcere di Carinola, alla presenza di due magistrati della Procura di Napoli ed un maggiore dei Carabinieri. Cosa sarà avvenuto? Abbiamo già spoilerato troppo, quindi bisognerà leggerlo direttamente dal libro. C’e’ un capitolo dedicato al “Poliziotto scomodo”, ovvero al capo della Squadra Mobile di Napoli, l’irpino Antonio Ammaturo, ucciso alle 16:30 del 15 luglio 1982 in Piazza Nicola Amore a Napoli insieme al suo autista, Pasquale Paola. Non è l’unica morte in questa vicenda. C’e’ anche la sospetta fine del fratello di Ammaturo, Grazio, al quale il capo della Mobile avrebbe inviato un plico in realtà mai giunto a destinazione. Il giudice Carlo Alemi, che pure è uno dei tanti racconti raccolti nel libro, allora decide di parlare con il boss della Nco, che viene indicato come colui che nell’ambito del patto tra Br e camorra per la liberazione di Cirillo avrebbe fatto il nome di Ammaturo. Quindi Cutolo era il mandante di quel delitto? Non è così semplice la storia. Perché ad ingarbugliarla ci pensa lo stesso Cutolo. Decide infatti di rispondere alle domande del giudice Alemi: “Non ho fatto io alle Br il nome di Ammaturo perché venisse ucciso. Non escludo che mi avrebbe fatto piacere ammazzarlo, ma lo avrei fattodirettamente io, perché era una vendetta personale” spiega il Professore. “Mi chiede se il dottor Ammaturo stesse facendo indagini personali sul sequestro Cirillo. E che ne so? Anche se non escludo che l’operazione di polizia a casa mia avesse come scopo di acquisire elementi per colpire più in alto, e cioè per colpire quelli che avevano trattato con me per Cirillo”.