Alfredo Picariello – C’è un lungo, e non troppo sottile, filo rosso nella vita di Beppe Battaglia, calabrese del ’46 emigrato giovanissimo a Genova, tra i fondatori, nel 1969, del primo gruppo di lotta armata in Italia denominato “III Gai”, meglio noto con il nome “XXII ottobre”. Il filo rosso è Avellino, l’Irpinia. Lo scrive nel suo libro “Le tre libertà” e lo estrinseca ancor meglio nel corso della presentazione di questo suo ultimo volume che lui ha voluto fortemente fare nel capoluogo irpino. Beppe Battaglia nel 1971 entra in carcere, dove ci resterà per venti anni, passando per ventidue istituti normali e sei “speciali”.
Le tre libertà di cui Battaglia parla nel libro (sottotitolo “Fotogrammi di un’evasione e altri modi d’uscita dalla prigione”) sono la libertà concessa, la libertà conquistata e la libertà comprata. La prima libertà gli è arrivata proprio ad Avellino. Ecco cosa scrive Battaglia nel libro: “Era primavera inoltrata. Dopo sedici anni ininterrotti trascorsi in ventotto prigioni con approdo finale nel carcere di Avellino, finalmente, nel 1987, viene accettata la mia richiesta per un permesso di uscita di alcuni giorni. La comunicazione del poliziotto fu stringata: “Preparati, ti è stato concesso il permesso, domani esci”. E’ stata la notte più lunga della mia vita, senza sonno e senza pensieri”.
Battaglia scrive ancora, raccontando di quando è fuori: “Lo sguardo va subito ai colori del verde primaverile che circonda il carcere di Bellizzi Irpino e alla palizzata che mi separa dalla strada. Intravedo Giovanna all’esterno della palizzata nei pressi dell’ultimo cancello presidiato da un agente in garitta che avrebbe dovuto aprirmelo. Camminavo dietro la guardia con i piedi che non toccavano terra”.
Quello che accade nelle ore e nei giorni successivi, Battaglia lo racconta a chi al Circolo della Stampa, in tanti, sono venuto ad ascoltare la sua storia. “Ad Avellino sono rinato – racconta -. Quando sono uscito da Bellizzi mi sentivo un marziano: il carcere ti disabilita dalla vita. Avevo perso il mio equilibrio. Ma sono stato fortunato, perché fuori dal carcere ho trovato una bellissima accoglienza. Ho trovato la Caritas di Don Ferdinando Renzulli, di Carlo Mele, di Alfonsina Nazzaro e tanti altri. Ho trovato il calore dell’ultimo sindaco comunista di Tufo (Sandor Luongo, ndr). Tutti loro mi hanno “accompagnato”. In questo modo, ho ricostruito la mia vita. L’accoglienza di Avellino e dell’Irpinia mi ha ridato i natali”.
Gli occhi di Alfonsina Nazzaro e Carlo Mele, che sono al Circolo della Stampa, incrociano quelli di Beppe. Anche grazie a quel “calore” del periodo del post terremoto in Irpinia, una volta uscito per “fine pena” Battaglia inizia a lavorare per una Comunità per tossicodipendenti dell’hinterland napoletano e parallelamente inzia un percorso di volontariato nelle carceri di Lauro ed Eboli, raccontato nel suo primo libro “Carcere e cittadinanza” uscito nel 2004.
“Oggi il sistema carcerario è molto peggiorato – afferma Battaglia alla luce delle sue tante esperienze (ancora adesso, vivendo a Firenze da pensionato, continua a fare il volontario nel carcere di Sollicciano) -. Le carceri sono dei contenitori, sono saltati tutti i legami sociali come fuori. In carcere tutto è inesorabile, c’è un clima del tutto invivibile. Ai miei tempi, pur dentro le mura, c’era una comunità, c’erano relazioni umane”.
L’altro legame con Avellino è la casa editrice che ha dato alla luce questo libro di Battaglia: “Sensibili alle foglie”. Una storia, questa della casa editrice di Valentino, che nasce in carcere, alla fine degli anni ottanta, con Renato Curcio e Stefano Petrelli. Nicola Valentino è nato ad Avellino nel 1954. E’ in carcere dal 1979 con una condanna all’ergastolo per fatti legati alla lotta armata degli anni ’70. E’ in regime di semireclusione. Spesso, soprattutto in passato, Nicola Valentino ha fatto ritorno nel capoluogo irpino, soprattutto per portare avanti la sua esperienza letteraria. Valentino non solo ha pubblico il libro di Beppe Battaglia, ma è anche autore della prefazione dove, con dovizia di particolari, racconta com’è nata l’idea de “Le tre libertà”. “Questo libro – scrive Valentino – nasce da un cucinato di ricordi e di sogni. D’altronde un libro cos’è se non pasta di vita lavorata da mani sognanti”.
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