Perone presenta il libro su Siani: la terra nemica sempre in agguato contro chi cerca la verità

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AVELLINO- Trentadue anni fa, uscendo dall’ aula bunker di Poggioreale, si era impegnato a non scrivere libri o fare carriera sulla battaglia per la verita” sulla morte del collega che non aveva mai conosciuto ma per cui si era battuto fino ad avere giustizia, ovvero sul delitto di Giancarlo Siani. Ma più delle mezze verità, delle omissioni, delle disattenzioni che hanno caratterizzato la produzione letteraria sul delitto che ha cambiato la storia del giornalismo del Paese, a convincere Pietro Perone che era il momento di raccontare come per anni nessuno avesse cercato la verità su quel delitto e raccontare come le verità scomode che cercava Giancarlo Siani ne avessero anche decretato la morte è stato un evento. Gli applausi di alcuni studenti ai killer di Giancarlo durante la proiezione di Fort Apache. Era il momento di disattendere quell’ impegno per scrivere un libro verità, che nello stesso tempo e’ anche un libro di “affetto”. Pietro Perone, giornalista da quaranta anni, uno del cosidetto “Pool Siani”, nato per cercare in otto lunghi anni una verità che nessuno voleva scoprire davvero, ha spiegato così come è nato “Terra Nemica” il libro su Giancarlo Siani e sulla lotta per fargli giustizia. Ospite di una iniziativa che la rete di Libera, Laika e Ordine dei Giornalisti hanno messo in campo tra quelle dopo la marcia “Disarmiamo Avellino” di fine settembre. E Pietro Perone ha spiegato cosa significa “terra nemica”, come lo aveva sollecitato la giornalista de “Il Mattino” Selene Fioretti, che ha moderato l’incontro a cui hanno partecipato il segretario della Cgil di Avellino Italia D’ Acierno e il portavoce di Libera Davide Perrotta. “Avellino ha un significato particolare avendo origini a Tufo- ha spiegato Perone- Essere qui e parlare di Giancarlo, ma non solo. Anzitutto perché il titolo è Terra Nemica, perche Giancarlo aveva le sue terre nemiche. Allora ci si riferisce alla camorra ai silenzi,n ai politici corrotti e altro. Ognuno di noi ha le sue terre nemiche. Lo abbiamo visto con Sigfrido Ranucci. La sua terra nemica e stata quella che gli ha piazzato una bomba sotto caso. In 40 anni e’ cambiato poco, per chi cerca e prova ad accordare la verità, anche facendo degli errori, la terra nemica e’ in agguato. Giancarlo e morto per questi motivi. Perche’ a 26 anni ha creduto che la verità potesse far nascere una società migliore. Aveva una forte motivazione sociale, come tanti giovani che in quegli anni scelgono di fare i giornalisti, non perché stavamo scegliendo di fare un lavoro, perché credevamo che quel lavoro potesse contribuire a migliorare la società in cui vivevamo. Giancarlo aveva vissuto in diretta decine di omicidi, la strage di San Alessandro davanti al Circolo dei Pescatori, che era un ritrovo del clan Gionta. Arrivava ogni giorno dal Vomero con la sua Mehari. Ma non si limitava a raccomahre i fatti, come facevano tanti colleghi. Descrivere solamente un omicidio ma cerco’ di capire cosa ce dietro quel delitto e neppure le dinamiche criminali. Cercare di capire e raccontare i fatti. Dopo che e’ morto si è detto tanto. La cosa ricorrente che si diceva in quella terribile sera nella redazione era “ma chi e sto Siani?”. Per anni in tanti si chiedevano: e volevano uccidere un giornalista uccidevano un ragazzino di 26 anni? C’erano colleghi che avevano la scorta, molti avevano il porto di armi. Questa cosa anche nella terribile sera del delitto, quando alla notizia hanno ucciso Siani, si decide di fare un piccolo trafiletto e solo dopo questa rivolta in redazione, in particolare dei piu’ giovani, si riuscì ad ottenere una spalla in prima pagina, ma non si uso’ la parola giornalista ma cronista. Nel libro racconto questo ma anche come Giancarlo fosse il primo in assoluto a fare giornalismo investigativo”.
“TUTTI ESCLUDEVANO UN DELITTO DI CAMORRA, INFATTI ERA STATO UCCISO DALLA MAFIA, GIANCARLO LO SAPEVA, TUTTI GLI ALTRI NO”
Davanti a sé Perone ha degli appunti, uno in particolare che descrive come quello di Giancarlo Siani fosse un metodo ” scientifico”: Questo è uno schema sapeva già nel 1985 e lo scriveva in questo foglio che i clan di Torre erano collegati ai Nuvoletta e alla mafia. Per anni hanno escluso che la camorra avesse mai ucciso un giornalista, infatti era stata la mafia. Giancarlo lo sapeva, tutti gli altri no”. Il Pool Siani? Nasce quando quel mondo che per anni non ha voluto la verita’ sulla morte di Giancarlo Siani e’ franato: ” “Sono uno di quelli che negli anni 80 decisero di sfidare la camorra. Ad Ottaviano organizzammo con Don Riboldi una marcia storica e la prima assoluta in questo Paese. Il caso ha voluto che per essere assunto stabilmente al Mattino, il direttore Pasquale Nonno mi comunico’ la stabilizzazione: a patto che vai a Castellamare. Quella è la redazione di Giancarlo e dopo la sua morte non ci vuole andare nessuno. Mi sembra un segno perché quando arrivo di fronte alla scrivania trovo una foto di Giancarlo”. Come nasce il pool? “Nel 1993 dopo il pentimento di Alfieri e Galasso- racconta Perone- si arriva all’incrominazone di personaggi politici influenti. Un mondo sta franando, un sistema di potere che ha coperto la verità sul delitto Siani. Arriva una collega in redazione a Castellamare e mi dice che era uscito un pentito che aveva fatto trovare un arsenale di armi. Un giorno mi venne la scintilla e gli chiesi di andare in Procura e fare un domanda. Tu gli devi chiedere se questo pentito sta dicendo qualcosa sul delitto del nostro collega Giancarlo. Era un modo per fare qualcosa sulla morte di un ragazzo di 26 anni. Il magistrato non rispose ma sorrise, ma mi basto’ per far ricordare che c’era un ragazzo di 26 anni chiedeva giustizia e co?incio’ grazie ad un grande giornalista che all’epoca dirigeva “Il Mattino”, Sergio Zavoli l’esperienza del “Pool Siani”. Noi per circa due anni abbiamo fatto solo questo. Articoli, atti, dalle carte di Giancarlo la lettera alla fidanzata Chiara che nessun poliziotto aveva approfondito, quella in cui gli raccontava che aveva completato un libro sulla camorra di Torre Annunziata e gli mancava poco per pubblicarlo. Nessuno aveva chiamato Chiara. Gli aveva detto di avere paura nei giorni precedenti alla morte. Così arriviamo agli arresti”. Il vero rischio per chi cerca la verità è l’isolamento.