Con una storica sentenza emessa il 6 Maggio, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato lo Stato italiano per non aver tutelato i cittadini esposti per anni all’inquinamento prodotto dalle fonderie Pisano. I ricorrenti sono circa 150 cittadini, con il sostegno dell’associazione “Salute e Vita”, assistiti dallo Studio Legale Saccucci, nelle persone degli Avvocati Andrea Saccucci e Roberta Greco.
La Corte ha riconosciuto una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, rilevando che lo Stato italiano non ha adottato misure efficaci per proteggere i residenti dagli effetti nocivi derivanti dalle emissioni dell’impianto industriale.
Per anni l’impianto ha operato in condizioni che hanno comportato emissioni oltre i limiti di legge, carenze nei sistemi di monitoraggio e smaltimento rifiuti. Nonostante lo studio SPES abbia evidenziato nei residenti livelli elevati di metalli pesanti e una maggiore incidenza di malattie respiratorie, cardiovascolari e neurologiche tra i residenti in prossimità dell’impianto, le autorità non hanno considerato adeguatamente l’esposizione prolungata della popolazione agli inquinanti.
La Corte ha poi escluso ogni responsabilità dei ricorrenti per aver scelto di vivere in quella zona: le abitazioni erano pienamente conformi alle norme urbanistiche, e lo stesso Comune di Salerno, già nel 2006, aveva dichiarato l’incompatibilità dell’impianto con l’area urbana, prevedendone il trasferimento mai realizzato.
Nonostante l’associazione “Salute e Vita” abbia intrapreso numerose azioni legali, secondo la Corte, il sistema giuridico nazionale non ha fornito una protezione adeguata, anche a causa di pene troppo lievi per i reati ambientali e tempi di prescrizione brevi. La Corte ha disposto pertanto il rimborso delle spese legali, il riconoscimento della violazione dei diritti umani, ritenuto in sé una forma di riparazione morale e l’obbligo per lo Stato italiano, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, di porre fine alla violazione, tramite interventi ambientali efficaci o il trasferimento dell’impianto, come già previsto dal piano urbanistico del 2006.
Sulla sentenza si sono espressi gli storici portavoce dell’Associazione, come Massimo Calce: “La notizia della pubblicazione della sentenza è stata del tutto inaspettata, ma visti i tempi celeri della corte europea mi rendo conto che per chi vede anche giuridicamente dall’esterno la situazione è del tutto chiara. Ma io e la mia famiglia ci siamo chiesti che peccato abbiamo fatto in questa vita per sopportare le pene di questo girone infernale che è stato vivere accanto alla fonderia. Dobbiamo ringraziare soltanto il sostegno della fede e di pochi amici che fino alla fine, insieme a noi, ci hanno creduto. Forse hanno creduto che non ce l’avremmo fatta o che forse non ce la facciamo più. Ma fin quando avremo fiato lotteremo per il rispetto della sacralità della vita, per la giustizia e per la verità”.
La Signora Anna Risi ha dichiarato di essersi commossa leggendo la sentenza. Nonostante il dolore straziante per la perdita della figlia all’età di 19 anni e del marito, pochi anni dopo, la signora Anna non ha smesso di lottare per far emergere la verità e dare giustizia a chi non c’è più.
Il presidente dell’Associazione, Lorenzo Forte sottolinea che “la sentenza non fa che confermare quello che da sempre abbiamo sostenuto e cioè che le Fonderie hanno reso la valle dell’Irno un inferno con la complicità di tante istituzioni come la Regione Campania, il Comune di Salerno, l’ASL, l’ARPAC, il TAR. In queste ore abbiamo ricevuto tante manifestazioni di solidarietà, ma anche l’ennesima dimostrazione di disinteresse e disprezzo da parte del sindaco di Salerno che non si vergogna di dichiarare di non aver ancora avuto modo di procurarsi la sentenza. Ebbene sarà nostra cura inviargliela! Non meno penosa è la reazione del presidente della Regione Campania, fautore del PUC del 2006 da sindaco di Salerno, campione di ambiguità nel 2020, quando alternava dichiarazioni allarmanti sulla fonderia con il rinnovo dell’AIA per altri 12 anni, che oggi in piena dissociazione di personalità plaude alla sentenza. Ci aspettiamo da Napoli e De Luca un provvedimento di chiusura immediata, così come chiederemo nelle prossime azioni legali con il supporto dello studio legale Saccucci insieme agli avvocati Torluccio e Lanocita, che da
sempre ci sostengono.”
“La sentenza ha confermato le verità che noi da sempre affermiamo” – conclude Lanocita – “e ha svelato un dato, ovvero l’insalubrità di questo opificio. Il tavolo tecnico ideato dal Comune di Salerno, la cui forte perplessità nasceva innanzitutto dal fatto che un indagato – qual era appunto il sindaco Vincenzo Napoli – presidiasse un tavolo che avrebbe portato a conclusioni utili a giustificare l’operato dello stesso primo cittadino sul quale indagava la Procura, ma che nulla aveva di tecnico ed era prettamente politico ed in malafede, laddove c’era già certezza dello Studio SPES e degli studi epidemiologici. Chiedemmo pertanto alle opposizioni di boicottarlo, cosa che non avvenne; è stato dato pertanto valore a quel tavolo, ma siamo contenti che oggi abbiamo voltato pagina e che l’opposizione sia qui con noi. Oggi contestiamo più che mai qualsiasi tavolo. Oggi c’è un’unica soluzione: si continua a parlare di delocalizzazione, ma la delocalizzazione non è un elicottero che arriva e prende la fabbrica e la sposta. Delocalizzare significa che quella fabbrica non è adeguata in quel territorio, sia come fabbrica sia come conformazione territoriale, quindi quando si parla di delocalizzazione si dice che, prima di tutto, deve cessare immediatamente la funzione: non vi è quindi alcuna differenza tra delocalizzazione e chiusura. La sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha bacchettato un poco tutti. Conferma che questa è una struttura antica, vecchia, che lavora ancora con il carbon cook”.