Taormina: Formisano non era interessato alle aste: non fece patti con i Galdieri

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AVELLINO- “Una gallina dalle uova d’oro, per nulla interessato alla aste, semmai alle ristrutturazioni degli immobili acquisiti all’asta, che non ha stipulato alcun patto criminale con Forte e I Galdieri, in particolare Nicola, che era il vero dominus della gestione delle aste ad Avellino”. E’ un po la sintesi di quello che sarebbero il vero volto di Gianluca Formisano, l’imprenditore serinese coinvolto nella vicenda Aste Ok, per cui il pm antimafia Henry Jhon Woodcock ha invocato una condanna a diciasette anni ed undici mesi di reclusione. A tratteggiarla in una arringa “fiume’ davanti ai magistrati del Tribunale Collegiale di Avellino presieduto dal giudice Roberto Melone (a latere Vincenza Cozzino e Gilda Zarrella) e’ stato l’avvocato Carlo Taormina, difensore di Formisano.

La conclusione a cui giunge Taormina e’ semplice: “Abbiamo fatto un impalcatura sul nulla, perché nulla c’è stato. Non dimentichiamo che tutta la vicenda fino al giugno 2019 era caratterizzata dalla questione relativa alla vendita dell’opificio di Solofra. Ma ai fini della pattuizione di un accordo camorristico e’ assolutamente inconciliabile”. E per dimostrare che non c’è stata alcuna pattuizione criminale, l’avvocato parte proprio dai rapporti con i protagonisti del presunto cartello illecito che voleva monopolizzare il settore delle aste immobiliari. A partire da Livia Forte.

“Si è tentato in più occasioni e con più modalità di cercare il tipo di rapporti di Formiamo e Barone con la signora Forte- ha spiegato Taormina- non è stato possibile andare oltre. Formisano si è incontrato solo 4 volte con la Forte, ci sono stati contatti telefonici si, ma solo quattro incontri. Il primo è il 20 febbraio, il secondo è il 3 maggio quando nel parcheggio del Famila gli viene imposto di partecipare ad un’asta ma si sottrae alla richiesta. Il 27 maggio e il 25 giugno con la vendita dell opificio di Solofra, che chiude la vicenda”. C’è poi il rapporto con Armando Pompeo Aprile, qui i contatti sono differenti, anche perché Aprile tenta pure di sganciarsi, ritornando però secondo l’avvocato sempre sui suoi passi, dal sistema criminale creato con l’ausilio delle sue competenze tecniche, visto che come ha ribadito Taormina, facendo spesso riferimento alle intercettazioni ambientali e telefoniche, lui si definiva “il maestro” nel settore: “Diverso e’ il discorso per i rapporti con Armando Aprile- ha sottolineato Taormina- che per la Dda e’ il vero regista dell’operazione Aste: “Aprile e’ una sorta di anguilla che si muove in ogni situazione. Si è parlato di tante cose, Aprile cerca di sganciarsi da questa situazione, per poi ritornare tra i ranghi. C’è questa posizione a metà strada di Aprile, che però torna sempre all’ovile. Aprile aveva capito che la storia non poteva continuare e voleva uscire da Avellino per liberarsi dalle grinfie della Forte. Mentre della Forte noi dobbiamo centellinare i rapporti con Barone e Formisano, diverso e il discorso con Aprile”. Taormina ha anche respinto la tesi del pm Woodcock sulla data in cui entrano nella vicenda Aste l’avvocato Antonio Barone e l’imprenditore Gianluca Formisano. “Il pm ha ricordato ad una telefonata del 26 novembre 2018 e la intercettazione del colloquio che intercorre tra Beniamino Pagano e Pasquale Galdieri-ha ricordato l’avvocato- Fin da ora si parlava di Barone e Formisano. Le cose non stanno così..Non soltanto che il riferimento all avvocato Barone riguardi un altro imputato. Ma nell’intercettazione non ci sta la prova che si faccia riferimento a Formisano. Si cerca di far risalire al 2018 il riferimento a Formisano e Barone quando il primo e unico incontro con Galdieri risale a febbraio del 2020”.

IL PATTO NON C’E’: GALDIERI ERA L’UNICO RIFERIMENTO PER LE ASTE
La ricostruzione della vicenda che propone al Collegio l’avvocato Taormina non puo’ che partire dal ruolo di Maria Cristina Cerullo, che ricordiamo e’ una delle testimoni chiave del processo e che il 20 febbraio viene schiaffeggiata in casa di Livia Forte proprio da Nicola Galdieri: “A dicembre del 2018 Maria Cristina Cerullo decide di occuparsi di aste, anche qui la gallina delle uova d’oro non poteva essere che Formisano, con il quale la Cerullo raggiunge una sorta di intesa. I termini sono chiari da parte di Formisano: io non sono interessato alle aste ma alla ristrutturazione degli stessi immobili . Iniziano vari sopralluoghi, fino a quando c’è una telefonata del 9 gennaio del 2019 nella quale c’è un contatto di Aprile con la Cerullo e si impegnano a vedersi il giorno successivo. Quelli sono i momenti nei quali Formisano viene invitato insieme a Laudato a partecipare all’incontro.

Non so se hanno già parlato di aste, ma sicuramente delle visite eseguite per le ristrutturazioni. Queste iniziative che avevano preso inizio verso la fine di dicembre del 2018 ed erano proseguite nel mese di gennaio, fino al primo evento, crearono uno scompiglio del quale fu interprete Armando Aprile, che al di là delle sessanta telefonate in pochi giorni con la Cerullo, in quella occasione capi che potevano essere seri, Aprile e la Forte, che non conosceva Formisano, queste serie di ispezioni determinò scompiglio. Noi abbiamo tanti modo per interpretare i fatti di cui parliamo. La ricerca del patto? Sono solo interpretazioni calunniose della Forte per cui il patto non c’e’ mai stato. Ci sono evidenze plastiche. La prima è il 9 febbraio. Cosa succede? La Cerullo si mette in testa di prendere il posto della Forte o di affiancarla nel momento in cui si crea lo scompiglio, la Cerullo gioca la carta, quella della menzogna. Accade questo. Uno dei soggetti partecipi a questa operazione aste, bisogna metterlo in cattiva luce. Perché farlo? Perché doveva essere fatto fuori o messo in condizione di soggezione. Il primo dato è questo. La Cerullo fa uscire che Aprile si è preso 15mila euro dal Formisano e così ha tradito la Forte. Che senso avrebbe la presenza di Galdieri a casa della Cerullo, insieme a Dello Russo altrimenti. Ma stiamo a parlare di patto. Ma chi voleva farlo? Certo è che Galdieri era ritenuto dal 9 febbraio l’uomo chiave nella gestione delle aste di Avellino”. A rafforzare la tesi che Nicola Galdieri fosse il “capo” c’è un’intercettazione tra Livia Forte e Armando Aprile, che Taormina legge in aula: “Non è più questione di soldi” dice Livia Forte.

Rispetto a questa condizione Armando Aprile confessa di non voler essere coinvolto in quelle che ormai sono diventate delle estorsioni. La Forte a quel punto risponde: “Sono d accordo con te , ha parlato il capo, si deve rispettare quello che dice il capo, ma sono d accordo con te”. La Forte lo invita a rispettare le decisioni del capo. E riferiti a Barone e Formisano dicono: “Allora è chiaro che quando loro fanno un operazione devono cacciare qualcosa di soldi” dice Aprile.

Forte gli risponde: quale operazione? Aprile gli chiarisce: quando fanno aste ad Avellino. E la Forte: quelli devono venire da me. Del resto, ha ricordato Taormina, nient’altro che quello che gli ha detto Galdieri il 20 febbraio del 2019. Ovvero che per partecipare alle gare avrebbero dovuto fare riferimento a “sua sorella Livia”. Per Taormina “Questo è un riscontro chiarissimo che Forte e Aprile obbedivano agli ordini del Galdieri”.

L’AVVOCATO DE MAIO: L’UNICA AD AVVICINARE QUALCUNO ALL’ASTA FU LA DEBITRICE ESECUTATA
“L’unica ad avvicinare uno dei partecipanti all’asta fu la debitrice esecutata”. E’ la conclusione a cui e’ giunto il difensore di Antonio Flammia, l’avvocato Benedetto Vittorio De Maio, avvertendo anche il Collegio che “Il Tribunale deve tenere presente che lei è imputata in procedimento connesso, quindi è stata sentita con le garanzie..Oltre a questo e al fatto che non può essere utilizzato come elemento di prova, la sua è una testimonianza interessata. Non può non tenerne conto in termini di attendibilità. Per cui il vaglio deve essere rigoroso. Il Tribunale deve vagliare attentamente se ci sono riscontri a quanto denunciato. Se voi vedete nel compendio documentale prodotto, vedrete che l’ acquisto il 28 aprile del 2004 di un fabbricato per cui si discute per il prezzo di 180 mila euro. Quello stesso giorno, con contatto di mutuo fondiario, stipulano un contratto dello stesso importo. Un contratto stipulato dal suocero, che evidentemente offriva una garanzia generica ai due coniugi. Perché dico questo? Perché non hanno pagato un centesimo di tasca propria. Quando viene pignorato l’ immobile apprendiamo che avevano grosso modo versato circa 20/30 mila euro, tanto che l’importo che la Banca imputa a 150 mila euro. Abbiamo appreso anche che negli anni tutte le aste sono andate deserte. Fino a quando nel 2017, come spiegato dal custode, il prezzo base di asta era di 237mila, tuttavia il magistrato sospese l’asta perché l’immobile era parzialmente abusivo. La successiva asta di vendita, quella del 24 aprile 2019 e la vendita era fissata per il 4 ottobre 2019 e’ l’asta che ci interessa”.

Da quel momento tutti i potenziali interessati sanno che potevano acquistare l’immobile versando 150mila euro. Perche’ la cifra non deve essere inferiore al 75% e dunque 150mila euro.Cosa succede prima del 4 ottobre Innanzitutto non risulta da alcuna prova che gli interessati (i tre visitatori e eventuali potenziali acquirenti) siano stati allontanati dalla partecipazione all’asta, anzi chi cerco’ di influenzare le decisioni dei visitatori fu proprio l’esecutata che si lamentava della condizione di salute di un familiare e della necessità che la stesse restasse in quell’immobile.

Il giorno dell’asta ancora una volta l’esecutata, data la presenza in aula di un nuovo interessato (un avvocato che accompagnava un proprio amico, il quale aveva inviato un’offerta per partecipare all’asta), si avvicinò a costoro chiedendo espressamente di recedere dalle offerte ulteriori”. E Flammia?: “Antonio Flammia ha resistito giudizialmente alle iniziative della debitrice esecutata, che e’ rimasta senza titolo nell” abitazione, ove la procedura esecutiva per il rilascio dell immobile e’ durata un anno e mezzo. Per cui finalmente ha lasciato la casa a dimostrazione del fatto che l’altro partecipante non era quello per cui poi la Forte riteneva di poter trovare un accordo. Flammia voleva la casa e si è battuto per averla”.