Solofra, la concia in crisi. Olivieri: tra dati e appelli

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Solofra – Una volta era chiamata la “Svizzera del sud”. Mentre oggi, dalla superstrada Sa-Av, la città della Concia pare offrire allo sguardo dei passanti opifici che sembrano suggerire lo ‘smacco’ della crisi dei tempi recenti. E pensare che negli anni ottanta si registravano numeri da capogiro: 4500 operai al lavoro, compresi quelli dell’indotto; un fatturato che superava i duemila miliardi di vecchie lire; un tenore di vita ed un reddito da fare invidia alle città industriali. Da Stati Uniti, Cina, Corea, Turchia, Russia e anche dall’Italia, fioccavano commesse continue. Si trattava tutto in dollari, sia la materia prima che il finito. Si insediarono altri istituti di credito, oggi ce ne sono cinque. La nappa era il prodotto più richiesto perché morbida, quindi molto ricercata dalle confezioni di tutto il mondo grazie alla moda e ai vari capricci di stilisti internazionali. Ma il problema dell’inquinamento, il passaggio di Hong Kong alla Cina con la fuga di commercianti e capitali negli Stati Uniti, l’affievolirsi del mercato europeo e l’iniziale concorrenza dei paesi del sud est asiatico, fecero sì che il polo conciario solofrano, ma non era il solo, cominciasse ad avvertire duri colpi sul mercato internazionale. La concia divenne un lavoro stagionale mentre le grandi aziende cominciavano a muoversi. La prima mossa fu quella di gemellarsi con il Comune cinese di Xinji della provincia di Hebei nel 1997. Bisognava attuare una penetrazione commerciale proprio in Cina, ritenuto il più grosso bacino/ mercato di consumatori. Ma affiorò il problema dei dazi variante da regione a regione nel Paese del Sol Levante. Si riescono a contattare commercialmente le quattro città con massiccia concentrazione di abbigliamento, confezioni e calzature: Hailin, Guangzhou, Xinjin e Liaoyuan. Il polo conciario, dove non tutte le aziende riescono a competere sul mercato, comincia ad avvertire una crisi strisciante tanto che nel 1998 si verificano le prime cessazioni di attività e riduzione del personale. Vittima illustre è la Map di Antonio Juliani che chiude i battenti nel giugno del 2000 con 108 lavoratori licenziati. Ciò mentre l’anno precedente veniva riconosciuto il Distretto Industriale Solofra che doveva rilanciare l’arte della concia. Il sindacato fa sapere che l’Inps al novembre del ’99 aveva erogato 138.374 ore di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria mentre risultavano 138 mila le ore di Cassa Integrazione Guadagni Straordinari. Dati un pò allarmanti. Si va avanti con chiusure di aziende e la crisi diventa sempre più concreta. Non risultano di aiuto neanche le varie fiere mondiali dove gli stand solofrani conoscono per la prima volta la totale solitudine. Nel febbraio del 2004 arriva a Solofra una delegazione cinese e il ministro commerciale, “la signora in rosso” Zhang Jungfang a chiare lettere dice di volere gli operatori conciari locali in Cina. A patto però che con loro vi sia un socio cinese. Nel 2005 l’amministrazione locale effettua un censimento: sul territorio sono presenti 175 imprese con 2405 addetti, il sindacato sottolinea invece che “al 2002 erano 3800 i lavoratori al dato Inps. Ben 44 aziende superano i 15 operai, 130 sono al di sotto dei 15, un’azienda con 40 addetti , 3 presentano 50 addetti e due superano i cento. 32 i laboratori chimici con un totale di 216 impiegati”. Numeri che nel giro di un anno sono modificati, vista la chiusura dei cancelli di ulteriori opifici. Difatti, la Carsten’s da 150 ne presenta 82, dei quali 40 in cassa integrazione speciale. “Ma c’è il problema – ricorda Antonio Olivieri, della Flerica Cisl – di altre due aziende decise a mettere in mobilità i propri lavoratori, un totale di sessanta unità, per cessazione di attività. Dicono di non poter reggere la concorrenza dei Paesi dell’estremo oriente. E di qualche opificio, che ha chiuso, in Confindustria si è scoperto che ha intrapreso autonomamente attività conciaria in Cina. Lotteremo affinché il posto di lavoro venga salvaguardato e che il polo conciario locale non venga trasferito altrove”. Tra l’altro la Cina starebbe già attraversando le prime difficoltà, tra cui quella dell’inquinamento. (di Dante Grimaldi)

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