Sei anni dopo passa la linea della Procura di Avellino e l’impugnazione firmata da Cantelmo e Annecchini

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AVELLINO- Una vittoria a distanza di sei anni dal primo verdetto della tesi che aveva portato la Procura di Avellino, in particolare l’ex Procuratore Rosario Cantelmo e il pm Cecilia Annecchini a sollecitare una riforma della sentenza emessa a gennaio 2019 nei confronti dei vertici di Autostrade. Una tesi che la Procura Generale aveva coltivato in una lunga istruttoria, andata avanti per circa tre anni. Alla fine anche i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno confermato quanto ricostruito dai giudici di Appello, che avevano accolto la richiesta di condanna per gli ex vertici di Autostrade assolti in primo grado dal Tribunale di Avellino, a partire dall’ex ad di Atlantia Giovanni Castelllucci per cui il 4 maggio del 2023 aveva avanzato al termine della sua requisitoria, durata circa due ore, il sostituto procuratore generale di Napoli Stefania Buda, che aveva sollecitato l’accoglimento dell’impugnazione della Procura di Avellino e concluso per la colpevolezza degli ex vertici di Autostrade coinvolti nel primo processo alla luce della circostanza che la rinnovata istruttoria aveva dimostrato le responsabilità dei vertici di Autostrade sul mancato intervento di riqualificazione delle barriere, per cui al contrario di quanto sostenuto nella tesi difensiva, per Buda erroneamente “sposata” dal giudice di prime cure, non ci fu alcuna scelta discrezionale da parte dei dirigenti del Tronco di Cassino e del progettista, bensì si trattava di una linea dettata dai vertici.
Un verdetto che sembrava destinato a cambiare, almeno dalle conclusioni rassegnate al termine della sua requisitoria davanti ai giudici della Suprema Corte dal sostituto procuratore generale Sabrina Passafiume, che aveva depositato anche una lunga memoria ai magistrati della IV Sezione, aveva ricostruito in circa un’ora le ragioni per cui alla fine ha tratto le sue conclusioni. In primis il rigetto dei motivi di Appello di Antonietta Ceriola e Gennaro Lametta, con la sostanziale conferma della condanna nei loro confronti, distinguendo per le ipotesi di disastro il loro profilo nella vicenda e quello dei dirigenti di Autostrade. Il sostituto Pg ha chiesto infatti di rivalutare la condanna per omicidio colposo nei confronti di Giovanni Castellucci e ha invocato l’ assoluzione dall’accusa di disastro colposo “perché il fatto non sussiste” per l’ex ad di Aspi e anche per gli altri dirigenti e direttori del Tronco condannati in primo grado. Per il sostituto pg la sentenza di secondo grado sul tema dell’omicidio colposo è “contraddittoria – ha detto nel corso del suo intervento – e non si confronta con la motivazione di quella di primo grado, che sulla responsabilità dei vertici di Aspi aveva riconosciuto l’inesistenza dell’obbligo di riqualificazione” delle barriere sul viadotto dove avvenne l’incidente. Mancherebbe un “quid pluris” rispetto al verdetto di primo grado. La procura generale della Cassazione ha chiesto invece di confermare la pena di 9 anni per il proprietario del bus, Gennaro Lametta. Sollecitata anche la conferma della condanna per l’allora dipendente della motorizzazione civile di Napoli, Antonietta Ceriola. La condotta per il disastro dei due e’ stata distinta da quella dei dirigenti Aspi, perche’ ha rilevato nella sua requisitoria il Pg della Cassazione come il pullman avesse un certificato falso di revisione, che non veniva effettuata dal 2011 e che il mezzo “era privo dei requisiti minimi per circolare. Lametta – ha detto Passafiume – ha posto in circolazione mezzo in pessime condizioni mettendo a rischio le vite dei passeggeri”.