AIELLO DEL SABATO- “Si deve rilevare un’inefficienza complessiva del Servizio Sociale che in tanti anni di interventi e progettualità (dal 2007/2008) non ha operato una valida presa in carica della famiglia”. E’ un passaggio chiave delle trenta pagine di motivazione della sentenza firmata dal Gup del Tribunale di Avellino Francesca Spella nei confronti di Maria Guariello, la mamma “carceriera”, che dal 2017 avrebbe segregato in casa con tanti di catene la figlia e che mette sotto accusa il sistema dei Servizi Sociali sul territorio. Un passaggio nel quale, rimandando alle conclusioni di uno dei consulenti che si sono occupati della perizia psichiatrica, il Gup del Tribunale di Avellino ha accolto la richiesta di trasmissione degli atti alla Procura per valutare l’operato dei Servizi Sociali che avevano preso in carico la famiglia. Come è noto era stato lo stesso pm Paola Galdo a sollecitarne la trasmissione, rilevando anche alla luce degli atti acquisiti dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino, come la documentazione relativa alla famiglia fosse relativamente scarna. Così quelle che erano state osservazioni ed avevano costituito uno dei maggiori rilievi dopo quello legato alle torture avvenute ai danni della ragazza, non solo costretta a restare rinchiusa e legata con una catena al letto, ma anche costretta a subire atti sessuali da parte del fratello. Come mai nessuno avesse sospettato nulla? Perché la famiglia non era seguita dai Servizi Sociali? Proprio questa “inefficienza” finisce nero su bianco in una sentenza, quella emessa dal Tribunale di Avellino. Ora saranno sempre le indagini dei Carabinieri, quelli del Nucleo Investigativo e di Solofra, a dover chiarire se ci sono state delle semplici inefficienze o hanno un profilo penale.
LA PRIMA SEGNALAZIONE NEL 2006
C’è un altro particolare legato alla vigilanza da parte dei Servizi Sociali sul nucleo familiare Guariello- D’ Amore che emerge dalle pagine della sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Avellino: la prima segnalazione arrivata sui presunti maltrattamenti. Come ricostruito dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino (la sezione specializzata nei reati contro i minori e per i codici rossi) la prima segnalazione risale al 6 giugno 2006, a seguito di una nota inviata dal Telefono Azzurro, che aveva ricevuto una segnalazione anonima su presunti maltrattamenti subiti da parte del padre alla minorenne. Ma la ragazza è stata liberata solo il 23 aprile del 2022, quando dopo la denuncia della sorella i Carabinieri della Compagnia di Solofra avevano fatto accesso all’abitazione della famiglia di Aiello. Proprio sulla condotta operativa della madre e omissiva del padre, le parole usate nella sentenza dal Gup sono molto dure. Per il magistrato con le loro azioni lesive dell’integrità fisica e psichica delle vittime: “non hanno consentito alle stesse di godere di una vita degna della condizione umana (tanto che la ragazza ha dichiarato di aver pensato e tentato il suicidio, pur di liberarsi da quelle pene insopportabili”. Ha continuato il Gup, ritenendo che il reato di maltrattamenti andasse contestato anche nei confronti dei figli minorenni, costretti a dover assistere a quanto avveniva ai danni delle sorelle. Aggiungendo che: “Gli imputati hanno costretto, senza alcun margine di dubbio, le vittime ad un regime di vita completamente distorto, snaturato, caratterizzato da continue umiliazioni e parole offensive, da quotidiane percosse e violenze fisiche, nonché dalla privazione dei più elementari bisogni affettivi ed esistenziali”.
LA SENTENZA
A febbraio era stata celebrata l’udienza per la discussione del giudizio abbreviato richiesto dagli imputati Guarriello Maria e D’Amore Giuseppe, entrambi di Aiello del Sabato, che dovevano rispondere dei reati di tortura, maltrattamenti in famiglia (ai danni delle figlie maggiorenni – vittime di violenza diretta -e dei figli minorenni – vittime di violenza assistita), sequestro di persona, lesioni gravi e gravissime ed istigazione al suicidio ai danni della figlia convivente, ancora oggi collocata in una comunità protetta unitamente alla sorella. Agli imputati, all’esito degli approfondimenti investigativi svolti dopo l’esecuzione della misura cautelare, sono stati contestati anche il reato di tortura e lesioni gravissime per aver sottoposto la figlia ad un trattamento disumano e degradante, e per aver agito con crudeltà nei confronti della medesima. In particolare, al padre è stato contestato il concorso omissivo in quanto, pur nella consapevolezza delle condizioni in cui versava la figlia che aveva l’obbligo giuridico di tutelare, ometteva qualsiasi intervento a tutela della stessa. La Procura aveva richiesto la condanna alla pena finale di 16 anni per la Guarriello e 14 anni per il D’ Amore, oltre alle pene accessorie. Il GUP, all’esito della camera di consiglio, aveva condannato Guarriello Maria alla pena di anni 14 di reclusione e D’Amore Giuseppe alla pena di anni 12 reclusione, oltre alle pene accessorie. I due coniugi erano difesi dall’avvocato Francesco Bonaiuto, le parti offese, la ragazza vittima delle torture, dall’avvocato Antonietta De Angelis. La sentenze sarebbe stata già impugnata dalla difesa e ora si attende il processo di Appello.