Negli ultimi dieci anni la spesa militare mondiale è aumentata del 2,4 per cento l’anno. Nel periodo 2002-2005 il tasso di crescita in termini reali è stato però del 6 per cento a causa dell’ingente aumento delle spesa da parte degli Stati Uniti. Per la guerra globale al terrorismo, gli Stati Uniti in appena tre anni hanno incrementato il budget militare di 238 miliardi di dollari. L’impatto della spesa militare americana sul totale mondiale è evidente con il rapporto pro-capite: oggi negli Usa la spesa ammonta a 1.604 dollari pro-capite rispetto ai 130 dollari di media mondiale. L’Italia con una spesa di 468 dollari, supera di gran lunga la Germania (401 dollari) nella spesa militare in rapporto alla popolazione. L’esportazione di armi dell’Italia nel 2005 raggiunge gli 827 milioni di dollari e piazza il nostro paese al sesto posto tra i maggiori esportatori mondiali di armi. Siamo però i secondi per le armi leggere.
Questi alcuni dati (Eurostat) forniti da Modestino Valente, esponente mercoglianese di Sinistra Democratica che così commenta: “Un affare d’oro per i produttori e le banche chiamate a gestire le operazioni di incasso, nonostante molti di questi istituti facciano parte della cosiddetta banca etica, ma vi è un aspetto ancora più inquietante. L’italia lentamente ha cambiato il suo profilo trasformando le proprie forze armate in modo da intervenire in qualsiasi parte del mondo. Il modello di difesa non esiste più, si è passati al modello di attacco con una palese violazione della nostra Costituzione (art.11: “L’Italia ripudia la guerra)”. Valente poi si sofferma sui bilanci del Ministero della Difesa, secondo i quali le spese militari si attestano mediamente sul 1,5 per cento del PIL, ma per altre fonti (tra cui la Nato) la cifra si aggirerebbe sempre intorno al 2 per cento del PIL. “Un bilancio peraltro – continua l’esponente di SD – al quale bisogna aggiungere le spese delle cosiddette missioni di pace, dello sviluppo degli armamenti, e del sostegno diretto o indiretto alle imprese di armamenti. Facendo quindi un confronto fra i diversi capitoli di spesa misurata rispetto al PIL la differenza è sconcertante: l’Italia dedica alle voci dello stato sociale il 2,7 per cento del proprio prodotto interno lordo, poco più delle spese militari“. In tal senso la media europea è quasi del 7 per cento, con la Francia al 7,5 e la Germania all’8,3 per cento. “E’ evidente – denuncia Valente – che se crescono le spese militari, le risorse economiche per lo sviluppo e le altre attività umane diminuiscono sempre più. Credo siano necessarie invece meno guerre preventive e ‘missioni di pace in armi’, e più cooperazione per lo sviluppo“. Da un lato dunque per l’Italia c’è il recupero del prestigio diplomatico, di persuasione, e di mediazione, oltre all’impegno per i diritti umani, come la lotta in prima linea per la moratoria sulla pena di morte, dall’altro il potenziamento della spesa e del supporto militare attraverso la fabbricazione nazionale. “Un aumento – ribadisce – al quale specularmente è sempre corrisposto il taglio dei fondi per la cooperazione allo sviluppo. E’ dunque necessario ritrovare l’impegno per costruire una ‘coscienza umana’ che ripudi la guerra. La pace è troppo importante perché possa essere lasciata nelle mani dei soli governanti”.
Queste le ragioni per le quali Sinistra Democratica ha indetto un convegno a Torrette di Mercogliano con il sottosegretario agli Esteri Crucianelli, e “le motivazioni – conclude – che ci spingono a partecipare massivamente alla marcia Perugia-Assisi di domenica 7 ottobre”.
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