Lo scacco in tre mosse di Carabinieri e Antimafia al Nuovo Clan Partenio

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Simona_Rossi_Pm

AVELLINO- Uno scacco al Nuovo Clan Partenio in tre mosse. Tre, quante sono le inchieste in una, quelle che hanno portato alla stangata al sodalizio camorristico assestata dal Tribunale di Avellino presieduto da Gianpiero Scarlato (a latere Giulio Argenio e Lorenzo Corona) con tre secoli di carcere inflitti a 21 imputati.

A partire dai 25 anni inflitti al capoclan Pasquale Galdieri, alias “o milord”, detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Sassari. Quali sono i tre procedimenti e come si intrecciano nella trama criminale ricostruita in un lungo periodo di indagine, andato avanti per circa 5 anni, dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino, che dal 2014 e fino al 2020 hanno raccolto dati, osservato, ascoltato e pedinato i protagonisti di questa nuova organizzazione criminale nata dalle ceneri del Clan Genovese.

Ovviamente le motivazioni della sentenza emessa ieri non sono ancora note (saranno depositate con ogni probabilità tra 90 giorni). Ma i tre procedimenti che hanno condotto a dimostrare l’operatività del gruppo e la sua perdurante attività sul territorio che dal capoluogo e dell’hinterland arrivava fino all’Alta Irpinia è così ripartito.

L’INDAGINE DEL 2014 E NIGRO ERNESTO
La prima parte della maxi inchiesta dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino e della Dda di Napoli è quella nata nel 2014, il famoso procedimento 21321 di cui si è più volte fatto riferimento nel corso degli ultimi mesi. Il ruolo chiave è quello di Ernesto Nigro, detto “Ciambone”, titolare di un caseificio a Bagnoli. Nel giugno del 2014 suo fratello viene tratto in arresto per armi e droga. Così Nigro finisce sotto intercettazione da parte dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino, che scoprono come ci siano contatti tra lo stesso e alcuni noti trafficanti di droga albanesi (per cui esiste un altro processo in corso) e soprattutto con pregiudicati avellinesi.

A settembre del 2014 c’è il primo contatto con Carlo Dello Russo, “Carletto”, che commissiona una spedizione punitiva nei confronti di un soggetto, che però sfuma grazie all’intervento dei Carabinieri. Nigro, come sarà accertato è anche vittima di usura da parte del clan, a cui versava 2000 euro al mese per un prestito di 20.000, che diventa poi il referente in Alta Irpinia del gruppo guidato da Pasquale Galdieri. O Milord, che avrebbe anche incontrato in un’occasione, gli avrebbe assegnato il ruolo di referente e anche l’incarico di reclutare nuovi affiliati.

E’ lo stesso Nigro, che le difese, la sua stessa in primis, hanno definito nella migliore delle ipotesi un millantatore e anche un soggetto “farneticante”, a raccontare ad uno dei suoi sodali la circostanza in una intercettazione del 7 agosto del 2015 captata dai militari del Nucleo Investigativo dell’Arma. Quella in cui racconta che il clan applicava il 3 per cento sulle estorsioni alle imprese e il 20 per cento mensile invece per i prestiti usurari. In quella stessa occasione si parla della modalità di saluto mafioso del “bacio in bocca”. Per le difese non sarebbe mai avvenuto quello più volte menzionato nel deposito di Pagano Beniamino con Damiano Genovese, accertato dalle telecamere dei Carabinieri quello avvenuto invece davanti al parcheggio di Carlo Dello Russo. Il 3 aprile 2023 Ernesto Nigro stesso davanti ai magistrati del Tribunale di Avellino racconta di aver fatto “battute da film” e di aver detto “stupidaggini” e che aveva chiesto scusa allo stesso Galdieri nel carcere di Bellizzi, affermando pure di non aver mai conosciuto il “signor Galdieri”.

Sulle scuse era stato smentito da un altro detenuto, che aveva chiarito di non ricordare questa circostanza. Nella sua requisitoria e nelle 295 pagine di memoria depositate dalla pm antimafia Simona Rossi al Tribunale di Avellino, viene evidenziato come : “dalle parole del Nigro emergeva una pluralità di elementi dimostrativi dell’esistenza e dell’operatività dell’ organizzazione camorristica in contestazione, rivelando l’imputato ai suoi interlocutori l’organizzazione del clan, i settori illeciti in cui l’organizzazione era operativa, con carattere di sistematicità, quelli dell’estorsione e dell’usura, le mire espansionistiche del clan sui territori dell’ Alta Irpinia, sui quali proprio il Nigro era stato chiamato ad operare come referente. Il ricorso ad azioni violente, laddove necessario, a fini dimostrativi dell’egemonia del sodalizio”. In questo segmento delle indagini vengono fuori alcuni tentativi estorsivi, ma anche gli episodi che vedevano gente comune richiedere l’intervento dell’organizzazione per dirimere vicende e contenziosi privati.

Infine uno degli episodi particolari e dimostrativi secondo l’Antimafia, si dovrà vedere se lo sia stato anche per i giudici (verosimilmente si ) riguarda il ruolo di vertice di Pasquale Galdieri. Lo stesso, insieme a Beniamino Pagano e a Carmine Valente finisce in carcere per un definitivo legato ad alcuni episodi estorsivi l’undici febbraio 2016. Nel giugno 2016 sempre dalle intercettazioni nell’ Audi di Nigro si evince che dal carcere di Melfi dove si trovava recluso, Galdieri avesse dato ordine di eseguire una spedizione punitiva a Montella. Un ruolo di intermediazione tra suo fratello Ernesto e Carlo Dello Russo sarebbe stato giocato da Nigro Giuseppina, anche lei condannata per la partecipazione al clan.

L’INDAGINE NATA DOPO L’OMICIDIO TORNATORE
Come emerso in dibattimento c’è un altro procedimento confluito nell’inchiesta di Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino e Antimafia di Napoli. Si tratta del 21885/2017. Tutto nasce dalle dichiarazioni, anche in questo caso poi smentite dal diretto interessato, che Francesco Vietri, alias Formaggino, rende nell’aprile del 2017 nel corso dell’interrogatorio di convalida del suo fermo al Gip del Tribunale di Avellino dopo che era stato accusato di concorso nel delitto di Michele Tornatore. Da questa attività si arriva a Carlo Dello Russo (che alla fine per la vicenda omicidiaria è stato archiviato), che viene intercettato dai militari del Nucleo Investigativo dell’Arma nonostante avesse un’utenza intestata ad un cittadino del Mali. In questo segmento di indagine che poi si incrocia con quello della Procura di Avellino delegato alla Squadra Mobile dopo la denuncia di una vittima in Questura, emerge il core business del clan: l’usura. Fondamentalmente due sono i gruppi che se ne occupano.

Quello di Diego Bocciero ed Elpidio Galluccio (già condannato con il rito abbreviato) e quello di Filippo Chiauzzi (anche lui condannato con il rito abbreviato) che come risulterà poi dai riscontri eseguiti su un libro mastro nel garage sequestrato dai Carabinieri, aveva un diretto collegamento con lo stesso Bocciero. Sono note alcune delle vicende, come il furto al garage Security Park di Galluccio e Bocciero, che sono tutti legati a doppio filo a Nicola Galdieri, per questo motivo ci sarebbe il collegamento con il clan. Dall”11 febbraio 2016 al 13 novembre 2017 data della sua scarcerazione per essere sottoposto ai domiciliari, in assenza di Pasquale Galdieri a reggere le fila del clan era stato proprio il fratello. Dalle riprese davanti all’autorimessa di Dello Russo emergono gli stretti rapporti con gli altri soggetti che componevano il clan. In due occasioni, nel settembre e nel dicembre 2017 le immagini documentano anche un “bacio mafioso” con cui si salutava Dello Russo.

Decine le testimonianze raccolte e ascoltate in aula nell’ambito di questa parte del procedimento. Molte anche oggetto di una richiesta di 507 comma 4 avanzate dal pm antimafia Rossi, perché i testimoni apparivano intimiditi in aula. Richiesta rigettata dal Tribunale. Una delle vicende usurarie che ha fatto scaturire un ulteriore procedimento è quella legata ad Alfonso Gnerre, scomparso da Santa Paolina dopo che aveva simulato una sorta di ferimento con tanto di rapimento. I casi di usura contestati sono diversi. Molti basati sul riscontro ad un vero e proprio libro mastro rinvenuto nello stesso garage gestito all’epoca dei fatti da Bocciero e Galluccio. Non sempre le vittime hanno collaborato. Come nel caso di un soggetto, captato in diretta mentre piangeva perché Bocciero lo aveva costretto a lasciare in garanzia per una rata di usura la sua auto nel garage e sia ai Carabinieri che poi nel gennaio del 2022 in aula aveva negato tutto.

L’INDAGINE 15733/2018 E IL CASO GENOVESE
L’ultimo tassello di questa ampia e articolata indagine condotta dai militari del Comando Provinciale di Avellino sul Nuovo Clan Partenio, è quella che riguarda l’interesse del gruppo di Pasquale Galdieri, in particolare del fratello Nicola, sulle aste immobiliari. Oltre alle ormai note dichiarazioni di Livia Forte, sulla cui non attendibilità le difese hanno puntato moltissimo, esiste un passaggio relativo a quello che l’Antimafia ha ritenuto il riconoscimento della leadership criminale di Pasquale Galdieri da parte di colui che si può definire almeno per ora e in attesa di leggere le motivazioni della sentenza emessa ieri, il suo predecessore. Il defunto boss Amedeo Genovese, in una lunga intercettazione ambientale in carcere del 30 settembre 2019, dove era detenuto al 41 bis, commentando il raid contro l’abitazione del figlio Damiano e del fratello Antonio Genovese, aveva riferito: “l’hanno fatto per far vedere a tutti gli avellinesi, l’hanno fatto per far vedere sono loro, siamo noi”.

Sicuramente ci sarà un processo di Appello. Intanto tra poche ore si torna in aula proprio per il processo Aste Ok. Davanti al collegio presieduto dal giudice Roberto Melone si concluderà il controesame del capitano Quintino Russo, comandante del Nucleo Investigativo che ha condotto le indagini sul primo filone tra il 2016 e il 2020.