AVELLINO- Nessun difetto di giurisdizione della giustizia contabile sul danno erariale prodotto dell’indebita percezione del reddito di cittadinanza. E’ quello che hanno stabilito i magistrati della Seconda Sezione Centrale di Appello della Corte dei Conti, accogliendo la richiesta della Procura Regionale della Corte dei Conti della Campania. Una pronuncia che ribalta l’orientamento giurisprudenziale e una sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Campania, del 15 febbraio 2024, che dichiarato il difetto di giurisdizione contabile in ordine alla domanda con cui la locale Procura regionale aveva chiesto la condanna di un irpino al pagamento, in favore dell’INPS (e, in via mediata, del
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), dell’importo complessivo di euro 5.604,13, oltre accessori di legge e spese di giustizia, a titolo di responsabilità dolosa riconducibile, nell’impostazione attorea, alla percezione indebita del cosiddetto reddito di cittadinanza”. La vicenda in oggetto traeva origine da un’informativa di reato, trasmessa in data il 22 febbraio del 2023 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Avellino. Dopo l’ informativa, la Procura Regionale della Corte dei Conti aveva che le attività investigative espletate nel parallelo procedimento penale avessero fatto emergere la percezione, da parte del convenuto e nel periodo compreso tra il 2019 e il 2020, di alcune mensilità del reddito di cittadinanza (per il complessivo ammontare di euro 5.604,13), incontestata violazione delle prescrizioni e limiti reddituali di cui al decreto-legge n. 4 del 28
gennaio 2019, convertito nella legge n. 26 del 28 marzo 2019″. Aggiungendo come “In particolare, il …. avrebbe scientemente omesso, nelle dichiarazioni presentate all’INPS nelle date del 14.3.2019 e del 22.10.2020, la sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente nonché la percezione di un reddito familiare superiore alla soglia prevista per l’ottenimento della provvidenza pubblica. Il danno patrimoniale veniva quantificato nell’intero importo delle somme ricevute, atteso il ravvisato sviamento del contributo dalla finalità di pubblico interesse a esso sottesa, con sottrazione di risorse economiche ad altri possibili aventi diritto. L’elemento soggettivo dell’illecito veniva, infine, declinato in termini di dolo, quale consapevole e volontaria inosservanza di obblighi conosciuti e accettati dal convenuto con la sottoscrizione dell’istanza”. La Sezione della Campania aveva sollevato il difetto di giurisdizione contabile in favore del Giudice ordinario.
In particolare”. Il dato è sempre riferito alla “configurazione del cd. rapporto di servizio tra Ente erogante e percettore, alla luce della giurisprudenza in tema di contributi pubblici di scopo, della simultanea ricorrenza dei seguenti requisiti: provenienza pubblica delle risorse erogate; vincolo funzionale di destinazione delle stesse a un puntuale scopo pubblicistico, con annessa attività gestoria; obbligo di attivazione e rendicontazione a carico del percipiente in relazione alle somme ricevute. Solo in presenza di tali requisiti sarebbe, infatti, ravvisabile l’ipotesi, idonea a fondare il rapporto di servizio (e, dunque, a radicare la giurisdizione di questa Corte sulle controversie afferenti all’indebita percezione della provvidenza), di un’attività gestoria vincolata di pubblico denaro, con assoggettamento del percettore all’osservanza di un programma amministrativo e conseguente inserimento funzionale dello stesso, in qualità di “extraneus”, nell’iter procedimentale pubblicistico, con il compito di porre in essere, in luogo dell’Amministrazione, un’attività tesa al perseguimento di una specifica finalità di interesse generale.
Dal perimetro dei contributi di scopo andrebbero, per contro, tenuti
distinti i meri sussidi, cioè le erogazioni di pubblico denaro con finalità solidaristico-assistenziale che, a differenza dei primi, non implicherebbero alcuna attività amministrativa di gestione di denaro pubblico, limitandosi a prescrivere requisiti e obblighi, comportanti, per l’ipotesi di carenza e/o violazione, la decadenza dal beneficio, con legittimazione dell’Amministrazione erogante ad agire per il loro recupero innanzi al Giudice ordinario, ai sensi dell’art. 2033 c.c. Quest’ultima ipotesi ricorrerebbe nella fattispecie all’esame”. In conclusione la sentenza impugnata aveva ribadito che “La finalizzazione della misura all’inserimento lavorativo -affermata, altresì, dalla Corte costituzionale nelle pronunce nn. 126/2021 e 19/2022 – dev’essere più correttamente interpretata quale mero auspicio di politica legislativa o, tutt’al più, quale obiettivo esterno ed eventuale rispetto al tipico ed esclusivo obiettivo di contrasto alla povertà e al disagio sociale che connota la suddetta misura economica, per esplicita ammissione degli stessi ideatori (Sez. Giur. Campania, sent. nn. 14/2024 e 46/2024).In tal senso, la generica finalità occupazionale, evocata dalla richiamata normativa del 2019, non risulta in grado di attribuire di per sé al privato percettore la qualifica di gestore di risorse pubbliche per il solo fatto di essere beneficiario di importi a carico del bilancio pubblico, non essendo questi onerato di alcuna reale condotta attiva, tale da inserirlo scientemente in programmi di pubblica utilità”. La Procura Regionale però aveva impugnato la sentenza, contestando la ” (natura prevalentemente «assistenziale» della provvidenza; impossibilità di ritenere concretizzato un rapporto di servizio tra il privato beneficiario di pubbliche risorse e l’amministrazione concedente il beneficio, nell’ipotesi in cui manchi un’attività gestoria di pubbliche risorse, ovvero difettino specifici obblighi di facere da parte del privato). In relazione al primo aspetto, l’Organo requirente ha sostenuto, in senso contrario a quanto affermato dall’impugnata sentenza, la sussistenza, alla base dell’intervento normativo in discussione, di un «programma pubblicistico», perseguito dal Legislatore (anche, ma non solo) attraverso lo strumento del reddito di cittadinanza.
Si tratterebbe, in particolare, di uno specifico programma pubblicistico di natura macroeconomica, volto all’incremento occupazionale complessivo per il tramite dell’inserimento lavorativo dei singoli percettori del reddito di cittadinanza. Ciò sarebbe confermato dalla qualificazione dell’intervento come “misura fondamentale di politica attiva del lavoro”, operata dal legislatore, nonché dalle affermazioni rese in proposito dalla stessa giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sentenza 25 gennaio 2022, n. 19). Verrebbe allora smentita l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il d.l. 28 gennaio 2019, n. 4 – non recando in sé un «programma pubblicistico» – abbia, quale unico scopo, quello d’introdurre il reddito di cittadinanza, che perciò si configurerebbe quale misura meramente «assistenziale».
Tale conclusione, del resto, sarebbe smentita anche dall’inserimento, previsto dal d.l. n. 4/2019, dello strumento del reddito di cittadinanza nell’ambito di un complesso di misure integrate tra di loro, tutte funzionali alla realizzazione di un ambizioso «programma pubblicistico».
La Procura si era anche ” diffusamente soffermata sul ruolo, nell’ambito del programma pubblicistico, svolto dal singolo percettore, per ricavarne l’esistenza di un «rapporto di servizio» tra questi e la pubblica amministrazione, e ciò anche in assenza di obblighi di gestione o rendicontazione delle risorse economiche ottenute. A tal riguardo, la Procura regionale aveva rimarcato “che il richiedente/percettore del reddito di cittadinanza è chiamato dalla legge a sottoscrivere un «Patto per il lavoro» (qualificato dallo stesso legislatore come «Patto di servizio»; art. 4, comma 7, che rinvia all’art. 20 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 150), la cui sottoscrizione comporterebbe l’assunzione di obblighi di «servizio» nei confronti della pubblica amministrazione (obblighi volti alla realizzazione di un «programma pubblicistico» di aumento dei livelli occupazionali, programma che non lo vedrebbe soggetto passivo, bensì attore e compartecipe dello stesso). In particolare, in adempimento degli obblighi assunti con il «Patto per il lavoro» e pena la revoca del beneficio, egli sarebbe tenuto a svolgere specifiche «attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro e all’inclusione sociale» (art. 4, comma 1)
LA DECISIONE
I giudici della Sezione Centrale di Appello hanno ritenuto, come già era avvenuto in altre due pronunce, la “sussistenza della giurisdizione contabile in materia di indebita percezione del cd. “reddito di cittadinanza”. Tutto ciò valorizzando: -la natura della misura in questione, ovvero essenzialmente quella di strumento di politica attiva del lavoro; -la sussistenza del cd. rapporto di servizio tra il percettore e l’Amministrazione erogante, per essere il primo funzionalmente inserito all’interno di uno specifico programma pubblicistico,
indipendentemente dal trasferimento al medesimo percettore di funzioni e poteri autoritativi e dalla configurazione, a carico dello stesso, di obblighi di rendicontazione delle somme percepite. Nello specifico, è stato condivisibilmente affermato che <<…il reddito di cittadinanza costituisce un particolare beneficio economico, introdotto nell’ordinamento italiano dal d.l. 28 gennaio 2019, n.4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n.26 e in gran parte successivamente abrogato dall’art.1, comma 318, della legge 29 dicembre 2022, n.197, al dichiarato fine di operare una generale razionalizzazione dei servizi per l’impiego, con l’obiettivo di una più efficace gestione delle politiche attive per il lavoro..L’art.1, comma 1, del menzionato decreto-legge, infatti, definisce il reddito di cittadinanza “quale misura fondamentale di politica attiva del lavoro”. Ai sensi del successivo art. 4, per beneficiare del reddito di cittadinanza, è necessario rispettare alcune condizionalità: immediata disponibilità al lavoro, con obbligo di accettare una delle offerte di lavoro congrue proposte dall’Amministrazione e adesione.ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale attraverso la sottoscrizione di un “patto per il lavoro” e, in presenza di particolari criticità, di un “patto
per l’inclusione sociale”. E hanno ribadito: “Come quindi condivisibilmente affermato nel citato precedente di questa Sezione “tratteggiato il perimetro entro cui la finalità di politica del lavoro deve realizzarsi, il rapporto di servizio si connota, perciò, per la partecipazione attiva dell’interessato richiedente il beneficio alla ricerca di una occupazione e per la sua soggezione ad una variegata tipologia di obblighi e vincoli che si pongono quali precipue condizioni alla percezione stessa del beneficio”; Si osserva che il reddito di cittadinanza, come detto, pur presentando indubbiamente anche tratti propri di una misura di contrasto alla povertà, perseguiva principalmente obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale e, quindi, il correlato beneficio economico, per il quale era prevista una esenzione fiscale, non ne mutava la natura. Peraltro, l’esenzione dall’IRPEF del beneficio economico ottenuto, così come avviene per ogni altra agevolazione fiscale, non implica automaticamente l’assenza di un rapporto di servizio rilevante ai fini del riconoscimento della giurisdizione contabile potendo, anzi, costituire una misura strumentale alla migliore realizzazione di un determinato interesse pubblico”. Per questo motivo la Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello ha accolto il ricorso della Procura regionale contro la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Campania e ha dichiarato la giurisdizione della Corte dei conti nella presente controversia. Ha disposto il rinvio al giudice di primo grado, per la prosecuzione in diversa composizione del giudizio sul merito e la pronuncia anche sulle spese del presente grado d’appello. Aerre