Correva la fine del 1800 quando, da più parti del mondo, la voce dei lavoratori iniziava a farsi forte e compatta. Era il 1866 quando veniva approvata nell’Illinois (Usa) la prima legge a sancire il limite delle otto ore lavorative. Solo vent’anni dopo, nel 1886, le proteste operaie tese a garantire migliori condizioni lavorative sfociavano nella repressione e nel sangue, con l’elevazione dei cosiddetti ‘ martiri di Chicago’ ad icona e simbolo internazionale della lotta per un impiego più dignitoso. Nel 1890 veniva riconosciuta la giornata del primo maggio a livello internazionale, che tuttora viene commemorata in molteplici paesi del mondo. 2007, è cambiato molto da allora: due guerre mondiali, il continuo evolversi degli scenari internazionali, la ‘guerra fredda’, l’Europa unita, la ‘globalizzazione’, l’alternarsi dei trend economici. Il problema del lavoro è rimasto. Il mutamento delle dinamiche socio-economiche, il riconoscimento pressoché internazionale dei diritti lavorativi, lo sviluppo di nuovi bisogni e settori produttivi hanno modificato di molto lo scenario occupazionale ma il problema di fondo perdura. E non è una questione che riguarda solo i paesi arretrati o quelli in via di sviluppo, è un male evidente anche della società ‘occidentale’, un male che si insinua nelle pieghe di moltissime classi sociali, un male che sembra non avere soluzioni. I dati statistici, d’altro canto, sono eloquenti. Se pensiamo che nell’Italia meridionale oltre il 20 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e che, riferendoci all’Irpinia, tale percentuale cresce nell’entroterra, con un tasso di disoccupazione giovanile che supera il cinquanta per cento, c’è davvero da allarmarsi. Due punti in più sul tasso di disoccupazione che dal 23 per cento del 2005 è passato al 25 del 2006. C’è più gente che non ha lavoro perché licenziata e perché non riesce a trovare occupazione, ma diminuisce anche il numero delle persone avviate al lavoro: dal 30 per cento del 2005, l’anno scorso si è scesi ad un poco confortante 26 per cento. E’ l’Alta Irpinia la zona dove è maggiore il tasso di disoccupazione, segue la Valle Ufita e l’Arianese. La maggior parte dei disoccupati irpini ha oltre 30 anni. Un giovane su due (ma cresce in modo preoccupante anche il numero di disoccupati ultra trentenni ed ultra quarantenni) non lavora e non percepisce uno stipendio, e chi lavora deve spesso fare i conti con il precariato, col lavoro nero, con la crisi economica. Le cause di questa profonda ferita nel cuore della collettività possono essere ritrovate su più fronti. Il ritardo storico del mezzogiorno, la tradizione socio-culturale che ostacola, e spesso frena, un sano sviluppo occupazionale sono solo le origini del problema. La crisi economica internazionale, i ‘sacrifici’ conseguenti all’unificazione monetaria europea, le logiche della globalizzazione, che aprono nuovi orizzonti competitivi ma che a volte tarpano le ali ai piccoli contesti locali, la minaccia concorrenziale proveniente dall’est asiatico, sono invece i fattori che completano lo scenario. Quali le soluzioni? Si parla di sviluppo sostenibile, della capacità di insediare attività produttive che siano davvero radicate sul territorio, di aiuti economici statali e parastatali (fondi comunitari) per il rilancio, di nuove politiche occupazionali flessibili. E intanto si ripropone il triste fenomeno dell’emigrazione, in una provincia che sforna cervelli ma non riesce a trattenerli. E’ arrivato il momento di riflettere seriamente. E’ tempo di organizzare un discorso omogeneo ed armonizzato tra tutte le forze sociali. E’ ora di agire concretamente, di debellare le distorsioni del sistema locale una volta per tutte, di trasmettere concretamente un pizzico di ottimismo anche alla gente comune, quell’ottimismo che emerge spesso nelle dichiarazioni della classe dirigente e che a volte sembra ignorare il degrado che permea l’Irpinia. La speranza di tutti è che arrivi presto il giorno in cui la festa del primo maggio ritrovi i valori, e soprattutto i dati di fatto, per i quali andrebbe festeggiata. (di Eddy Tarantino)
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