Un’occasione unica ed irripetibile per conoscere e addentrarsi nel cinema dei Fratelli Dardenne, straordinari cineasti provenienti dal Belgio che incarnano, nel loro stile poetico e nella loro continua ricerca dell’ “uomo” dietro il “corpo” la quintessenza della tradizione cinematografica europea. È quanto presentato ieri sera nel corso di una conferenza stampa al Viva Hotel di Avellino. Le opere dei due fratelli – registi, amati da pubblico e critica di tutto il mondo e vincitori di numerosi premi tra i quali spiccano le due “palme d’oro” a Cannes nel 1999 e nel 2005 – da sempre fanno del racconto di situazioni estreme e disagiate il punto focale intorno al quale ruota tutta la loro produzione cinematografica. E non potrebbe essere altrimenti viste le loro prime, condizionanti e fondamentali esperienze dietro la cinepresa. Come racconta lo stesso Jean-Pierre infatti “… dopo le esperienze teatrali come attore iniziai per consiglio di Armand Gatti a dedicarmi alla macchina da presa. Tutto ciò che all’epoca riprendevamo e cercavamo di diffondere e raccontare, erano le situazioni disagiate degli operai e dei lavoratori”. “Lavoravamo per ore e ore – continua il fratello minore Luc – alla ripresa di storie di lavoro, povertà e solitudine estreme”. L’esperienza fatta negli anni 60 e 70, gli anni della rivoluzione sociale e culturale, influenzeranno indelebilmente il lavoro dei due tanto da rispecchiarsi, sia nello stile tecnico che in quello narrativo, nelle produzioni maggiori dei registi, produzioni che li hanno fatti conoscere ed amare al grande pubblico. Film come “Rosetta”, “l’Enfant”, “le Promise” sembrano infatti essere uniti da un unico grande filo conduttore, ovvero il continuo racconto della solitudine dei personaggi e delle tempeste emotive che sconvolgono il loro animo. “Raccontiamo i prodotti della società del consumo – spiega Luc Dardenne – persone sole che vagano perse tra i prodotti della società. Se abbiamo ad esempio una stanza chiusa in cui sono presenti una bottiglia d’acqua e tre persone assetate, quello che cerchiamo di raccontare è il processo che porta i tre a condividere la bottiglia, ovvero analizzare la solidarietà che si scatena tra individui disperati e soli”. Il racconto filmico si svolge attraverso un uso oppressivo angosciante della macchina da presa, che zoomma e si muove intorno ai personaggi senza dargli respiro. “un modo – continua Luc – di mettere in evidenza il corpo fisico dell’individuo, che testimonia la sua esistenza nel nostro mondo, benché viva in una condizione di solitudine”. I Fratelli Dardenne, benché apprezzati e affermati registi, non sembrano gradire i paragoni con altri “mostri sacri” della storia del cinema come Rossellini e Bresson, glissando sui punti di lontananza e su quelli di contatto, soffermandosi di più sul definire il loro stile di cinema, personale e unico. “E’ normale – dice Jean-Pierre, che quando si diventa registi affermati inevitabilmente i critici facciano dei paragoni con i grandi nomi del passato”. Lo stile che i due cineasti cercano di definire e spiegare è costruito sull’uso preciso e attento dei dialoghi, pochi e intensi, che trionfano con la loro presenza sull’ambiente circostante accompagnando lo spettatore nel profondo dell’anima dei protagonisti, rendendo inutili supporti esterni e “invasivi” come musica e luci artificiali. “Gli uomini che noi raccontiamo non hanno bisogno di parlare per descrivere la loro condizione, bastano le immagini. La musica infine è come un tappeto disteso su un sentiero di pietre: noi vogliamo che guarda i nostri film senta le pietre sotto i suoi piedi, per questo il tappeto è inutile”. In conclusione i due grandi registi dedicano un pensiero a Napoli, meta della loro prossima visita, città che per storie e drammi umani e metafisicamente molto vicina alle città raccontate dai Dardenne. “sarebbe bello, dice Jean-Pierre, che il prossimo film che realizziamo lo potessimo presentare a Napoli. Purtroppo la distribuzione italiana ci offre come sedi sempre le stesse città ovvero Roma, Torino, Bologna, Firenze e Milano”. I fratelli Dardenne, premiati in serata presso il cinema-teatro Partenio di Avellino, succedono come vincitori del prestigioso premio alla carriera “Camillo Marino” a Ken Loach, premiato lo scorso anno.(g. matarazzo)
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