Post Congresso e Amministrative: Nicholas Ferrante e la sua idea di Pd

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Nicholas Ferrante, dopo due anni di direttorio e nove mesi di commissariamento, la Federazione irpina del Partito Democratico ha nuovi organismi dirigenti, possiamo coniare l’hashtag #RisePd anche per Via Tagliamento?

Certo, semplicemente perché il Pd non è mai nato in Irpinia, bensì è stato il risultato su carta di un insieme di correnti. Magari fossero, come la Spd in Germania, correnti che si differenziano per idee: in tal caso sarebbe politica. I problemi vengono da lontano e mi limito a registrare l’attuale stato di cose: l’irrilevanza del partito irpino dato dal 15% alle politiche. Sono sempre stato dell’idea che il congresso dovesse essere celebrato, a patto che a vincere fossero le idee. Un partito ha il dovere di dire come immagina l’Irpinia tra cinque anni. Perché se non lo fa, risulta inutile la propria funzione. È indubbio che dopo una sconfitta, con cui si è toccato il fondo, se non si fa una vera analisi si inizia a scavare. Ora ci sono nuovi organismi dirigenti e si parte da una fondazione, mettendo le mani nelle complessità del Pd irpino.

Si ripartirà da Giuseppe Di Guglielmo segretario e Roberta Santaniello riconfermata alla presidenza dell’Assemblea Provinciale, sono le persone giuste e come si rilancia il partito dopo la debacle del 4 marzo?

Conosco Roberta e Giuseppe da tempo e sono persone in gamba: avranno il difficile compito di prendere ago e filo per unire. Non mi riferisco all’unione del gruppo dirigente, perché quel 15% è un voto di apparato cioè degli amici e parenti del gruppo dirigente stesso e qualche militante storico. Il partito andrebbe aperto a chi si identifica nell’idea di centrosinistra. Invece nei nostri comuni è gestito – in tanti casi – dal portatore di tessere. E chi vuol tesserarsi è costretto a vincolarsi a quest’ultimo e non all’idea di partito in cui far emergere le proprie idee. Ciò è sintomatico del peggior modo di far politica tipico degli anni passati, con cui non si creano nuovi spazi. A base della tessera, che identifica l’iscritto, ci dovrebbe essere il principio dell’uno vale uno. Quindi per rilanciare, è necessario che sia valorizzato questo aspetto. Altrimenti ci troveremmo sempre di fronte a numeri enormi di tessere e poi alle elezioni mancano le persone in carne ed ossa. Fatto questo, potremmo fare tutti i ragionamenti di questo mondo.

Per nominare un segretario è dovuto però venire l’onorevole David Ermini dalla Toscana, e il partito, nonostante i continui richiami all’unità anche da Roma, resta spaccato e sullo sfondo ci sono le amministrative che coinvolgeranno ben 21 comuni della provincia…

In vista delle amministrative, non ragionerei tanto in un’ottica di partito. Forse si potrebbe ad Avellino, che è un comune più grande. In cui al di là degli accordi delle ultime ore, spero che ci siano finalmente dei candidati in grado di fare della città il traino dello sviluppo economico della provincia. Invece nei piccoli comuni al voto, la composizione delle liste gioca sugli equilibri tra le famiglie e sui bisogni della comunità che vanno oltre i partiti: ragionare nell’ottica di partito è delimitativo. Credo sia anche normale, in un comune al voto, trovare iscritti al Pd in liste diverse. Il partito, se avesse un progetto, dovrebbe limitarsi a dare un indirizzo ai suoi iscritti. E ognuno potrebbe farlo valere nella lista in cui sceglie di candidarsi. Se facessimo questo passaggio mentale, staccando il livello amministrativo e politico in ogni comune, non avremmo circoli guidati da famiglie.

A proposito di elezioni, la deadline per la presentazione delle liste è ormai prossima. Da quali temi e difficoltà i dem dovranno ripartire per costruire una lista che possa rilanciare Avellino e l’Irpinia?

Non parlerei di massimi sistemi. Credo che i candidati alle amministrative, iscritti al Partito Democratico, dovranno affrontare il tema della disoccupazione. Ad Avellino, come nel resto d’Irpinia, abbiamo aree ASI “in stile Africa” con  infrastrutture abbandonate e aziende che vanno in blocco a causa dei pochi investimenti in tecnologie. E poi ci sono i tanti piccoli imprenditori e artigiani in balia di se stessi. Da giovane, dico a chi si candiderà di fare il proprio dovere, di essere a disposizione degli eroi che investono ancora nella nostra terra. In tanti casi gli amministratori nei nostri comuni, essendo in piccoli contesti, sfruttano il proprio ruolo per vantaggi personali con l’arroganza dei vecchi baroni. La condizione di chi è in difficoltà deve riguardarci, metterci a disagio. Che deve essere una dimensione morale. E poi, l’Alto Calore Servizi con il buco da 134 milioni di euro: potevamo fare dell’acqua il nostro fiore all’occhiello invece siamo annegati in anni di clientele. I servizi sociali appesi al palo e i diritti negati alle fasce più fragili della popolazione, a causa dell’incapacità di spendere i fondi assegnati ed erogare servizi ai cittadini. Ricordo il fallimento della gestione dell’ATS 04, da parte del comune (capofila) di Avellino che ha, di fatto, privato gli altri 15 comuni dell’ambito dei servizi sociali fondamentali. Mi preme ribadire il rischio salute nei nostri comuni: abbiamo comuni con alti tassi di mortalità per tumori, come la Valle del Sabato. Nel frattempo tutto tace. Infine, la piaga dello spaccio delle droghe di cui fanno uso sempre più ragazzi, costretti a scegliere tra una partita a carte al bar oppure una canna. La politica non ha immaginato strade per far correre e camminare noi ragazzi, per consentire di realizzarci.

Parlando di politica nazionale, sul tuo blog per Il Fatto Quotidiano hai suggerito una possibile intesa tra Pd e M5s su sei punti. L’esito della Direzione Nazionale, tuttavia, è stato ben diverso: si andrà a questo punto al voto anticipato?

Sin dal mio intervento al Nazareno, qualche giorno dopo le elezioni, ho sostenuto la necessità di un dialogo tra i 5 Stelle e il Pd. Fui preso per pazzo. Oggi anche Veltroni, Gentiloni e Franceschini sostengono questa idea. Non sono un politologo, ma parlando con tanti del M5s vedo dei tratti in comune. Di fatto è un’alleanza naturale. Un dialogo non implica un accordo di governo, per cui ci sono tante formule per esprimerlo. Il proporzionale implica che le forze siano responsabili e che si compongano e scompongano per trovare una maggioranza. Tra Pd e 5 Stelle poteva nascere un governo di qualità ed era un modo affinché il voto di tanti potesse avere un effetto. Ora questa situazione di stallo non credo che i cittadini la meritano. C’è stato il terzo giro di consultazioni, da cui è uscita la possibilità di un governo neutrale che non avrebbe sulla carta una maggioranza. E quindi si andrebbe ad elezioni. Penso che in questa fase ci sia stato zero senso politico. Spero il Pd risolva l’impasse con una mossa di iniziativa politica, ma è utopia. Renzi sta tenendo il partito in ostaggio per sue manie di potere. Se il Pd andasse alle elezioni a breve in queste condizioni, non dovremmo più spiegare quale sarà il nostro programma di governo, ma con chi dovremmo allenarci.

di Renato Spiniello.