Venticinque anni fa, sulla strada che collega Trapani con Pizzolungo in Sicilia, un’autobomba ‘aspettava’ il sostituto procuratore di Trapani, l’avellinese Carlo Palermo; invece, per una fatalità, l’ordigno colpì una madre coi suoi due figli. Erano circa le nove del mattino del 2 aprile del 1985, Barbara Asta e i figli di 6 anni Giuseppe e Salvatore transitavano a bordo della propria utilitaria su quella strada di paese, tranquilla, collinosa. In quel preciso istante sopraggiungeva la macchina del sostituto procuratore Palermo, un giudice avellinese distintosi nel Trentino per la lotta all’eroina, che decide di affrontare in trincea la mafia. Sul bordo della strada una Golf colma di tritolo, l’obiettivo quel giudice troppo quadrato per le cosche.
La famiglia Asta fece da ‘scudo’ all’auto di Palermo rimanendo dilaniata nell’esplosione. Carlo Palermo ne uscì illeso, una famiglia ne uscì disintegrata. Una strage che riporta alla memoria oggi quella tragicità della vita civile in un’epoca macchiata dalla crudeltà di Cosa Nostra.
“Mi farebbe piacere che anche sull’attentato di Pizzolungo si facessero approfondimenti – commenta Carlo Palermo – Diverse volte mi hanno contattato magistrati siciliani per dirmi di nuovi orientamenti, nel senso di quelli da me sempre seguiti e indicati nei miei vari scritti ovvero non solo mafia e droga ma collegamenti trapanesi con interessi legati ad altre connessioni (traffici di armi, servizi, massoneria) di cui mi ero occupato a Trento”.
“Sono passati 25 anni – prosegue l’ex pm oggi titolare di studio legale e difensore di molti parti civili in vicende strane, come quelle del Moby Prince – sarebbe, credo, l’ora, di riaprire quei capitoli scuri. La speranza è che queste domande trovino delle risposte. Voglio pensare che non è un caso che abbia avuto la fortuna di sopravvivere, conseguentemente c’è la utilizzazione di questo tempo per continuare a cercare. Mi è stata data questa fortuna e intendo sfruttarla sino a quando ne avrò la possibilità”.