Pd – Fassino: “Un partito che brucia troppi leader non dà sicurezza”

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Avellino – L’incontro e la fusione di due culture opposte: la vera essenza del Pd si traduce oggi nel binomio Franceschini-Fassino, massima espressione degli ingranaggi che hanno mosso la nascita del Partito Democratico. Perché se scatta l’idea di scegliere il segretario nazionale del partito tra chi ha fatto parte in passato della stessa storia, allora si liquida la sostanza stessa del partito. In questo si traduce il sostegno che l’ex segretario nazionale dei Ds Piero Fassino ha deciso di profondere per l’attuale segretario del Pd Dario Franceschini.
Una decisione illustrata oggi ad Avellino alla presenza del sindaco Pino Galasso, del senatore Enzo De Luca, del consigliere regionale Luigi Anzalone, del capogruppo del Pd in Provincia Alberta De Simone e del candidato alla segreteria regionale Leonardo Impegno.
Tre le ragioni a sostegno della mozione: Dario Franceschini è stato eletto solo sei mesi fa e “… sei mesi non bastano per stabilire la linea politica. E poi un partito che brucia troppi leader è un partito che non dà sicurezza”. In secondo luogo, pur avendo fatto il segretario per soli sei mesi “lo ha fatto bene, ne ha ben contenuto i rischi”. Infine una ragione più politica: “E’ la persona giusta per trasmettere alla società il messaggio che il Pd lancia lo stesso progetto che è alla base della sua nascita, la fusione tra due culture che va oltre l’appartenenza politica di ciascuno”.
Cinque le parole che raccontano la storia “dell’essere riformista” di Dario Franceschini, definizioni che Fassino sposa nella loro interezza: fiducia, regole, uguaglianza, merito e qualità.
Le stesse fondamenta che saranno il cavallo di battaglia della mozione nel congresso del 25 ottobre. Un appuntamento importante per svariate ragioni. “Tanto per cominciare, è il nostro primo congresso – ha esordito Fassino – la prima vera occasione di verifica e di bilancio dopo le contingenze che hanno contraddistinto il nostro partito e tutta la politica in generale. In secondo luogo il congresso cade proprio in una fase di crisi, dove molte sono le preoccupazioni che corrono sotto la pelle degli italiani. E rispetto alla crisi non c’è una risposta valida del governo, che affronta tutto con approssimazione”. I tagli alla scuola vengono riportati come l’esempio più lampante. 58mila precari che “… piuttosto che essere immessi in ruolo, vengono praticamente mandati a casa generando un duro taglio anche all’offerta formativa”.
In questo contesto si colloca inoltre la funzione di un governo che Fassino reputa solo “apparentemente” forte e che di conseguenza genera una “situazione stagnante in cui i problemi implodono”.
“Noi, in questo congresso, dobbiamo costruire un’alternativa”. Infine l’appuntamento giunge proprio a cavallo delle elezioni regionali, e qui balza all’evidenza il grande ‘limite’ del Mezzogiorno dove “la politica è debole così come i cittadini e tende a concentrare tutto all’interno delle istituzioni. Se tutto si consuma e si riduce nella logica degli enti locali il rischio è grande e la politica ne esce stravolta. I partiti non avrebbero più ragion d’essere”.
Quando si parla di regionali, non si può non parlare di alleanze perché “… nessuno di noi è così sciocco da poter pensare di far da solo”.
Tre le prerogative per le alleanze: possedere un profilo programmatico-progettuale per gestirle; tener conto del territorio e della sua specificità – “L’Italia non è tutta uguale e le alleanze sono figlie di situazioni specifiche” -; definirle prima del voto.
Questi dunque i connotati che tracciano il profilo del riformista che “ha il coraggio di sfidare le destre non rincorrendole e che pensa alle prossime generazioni e non alle prossime elezioni”. Prerogativa, questa, lasciata al populista. (Manuela Di Pietro)

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