AVELLINO- Una condotta idonea a turbare l’attività del magistato. Questa la motivazione per cui nel maggio scorso il Gup del Tribunale di Roma Simona Caligari ha condannato Kevin De Vito, difeso dagli avvocati Gerardo Santamaria e Rolando Iorio ad otto mesi nel processo con rito abbreviato per le minacce al Gip del Tribunale di Avellino Paolo Cassano. Come è noto De Vito era accusato di minaccia ad un corpo giudiziario e minaccia aggravata, poiché come si legge nel capo di imputazione relativo a quanto avvenuto nel carcere di Bellizzi Irpino il 27 gennaio del 2022 “nel mentre si eseguiva nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere a firma del Gip dott. PaoloCassano, minacciava il predetto con testuali parole ” io a sto giudice I ‘accir proprio,sto c…, sto…., o sparo n ‘cap” “cià già spacca a capo, a già sparà”. Tutto ciò davanti ai Carabinieri della Sezione Operativa della Compagnia di Avellino. La Procura di Roma aveva invocato una condanna nei suoi confronti a due anni di reclusione. La difesa aveva invocato l’assoluzione. Il processo si celebrava con la formula del rito abbreviato. Il Gup Simona Calegari ha ritenuto: <span;> “sussistente la penale responsabilità dell’imputato per il reato ascrittogli ex art.338 c.p. ritenendo in questoassorbita la fattispecie di cui all’ art. 612 comma 2 c.p”. Il giudice ha ricordato che il reato “<span;>, punisce “chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario.per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque V’attività…”. Ai fini
dell’integrazione del reato assume quindi rilievo qualsiasi condotta violenta minatoria che risulti diretta a turbare il regolare svolgimento dell’ufficio o del servizio, e non vi è dubbio che l’organo giudicante, inteso quale Corpo giudiziario, deve ritenersi ancora formalmente costituito ed insediato anche dopo la lettura del dispositivo della sentenza,durante la sua permanenza all’interno dell’aula di giustizia o della camera di consiglio,indipendentemente dal riferimento a specifici atti ancora da compiersi o a decisioni da adottare, e senza che assumano rilievo le specifiche incombenze di competenza di quel
giudice”. Nel caso specifico, il Gup del Tribunale di Roma ha “<span;>rilevato come la condotta minatoria del De Vito fosse sicuramente finalizzata a coartare la volontà del Gip che aveva emanato la misura cautelare e, al contempo, fosse assolutamente idonea a turbare l’attività dell’odierna persona offesa, questo giudice non può che ritenere inequivocabilmente perfezionato il delitto di cui all’art. 338 c.p. in capo all’imputato. Quanto alla determinazione della pena, si ritiene che, al fine di adeguare la pena al caso concreto, all’imputato possa concedersi il trattamento di favore previsto dalle circostanze attenuanti generiche”. La difesa ha già annunciato di voler impugnare il verdetto emesso dal Gup di Roma.
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