Da “Il Biancoverde n. 17 del 13/12/2013
“L’Avellino così in alto? Per me è una sorpresa relativa”, esordisce così Maurizio De Simone direttore responsabile di AvellinoFans da oltre un decennio vicino alle sorti del calcio irpino. “In realtà ho seguito l’Unione Sportiva dalla stagione 1991/92 quando purtroppo si verificò la retrocessione dalla serie B all’ex serie C1. Sono nato qualche giorno prima di quel famoso Avellino-Ascoli (23 novembre 1980, ndr) che precedette di qualche ora la catastrofe del terremoto. Forse il calcio era nel mio destino. Di sicuro non provengo da una famiglia di appassionati. Ho fatto un piccolo cenno della mia storia perché, forse come tanti miei coetanei, posso tranquillamente affermare di aver vissuto sei retrocessioni sul campo oltre il traumatico fallimento nell’estate del 2009. Non è piaciuto “fallire”, neanche al sottoscritto anche se poi non ho mai condiviso la frattura nel tifo. Questa diatriba non mi ha mai affascinato e la storia logo per me è un puro paradosso italiano”.
Ripartire dalla serie D, cosa ha rappresentato?
“Occorreva un cambiamento, drastico e doloroso per la maggior parte dell’ambiente. La vecchia gestione era arrivata a un punto di non ritorno. Il rapporto con la piazza era deteriorato e si navigava a vista e molto male, tant’è che la situazione debitoria non è stata mai del tutto chiarita. Nel calcio, purtroppo, contano idee e competenza oltre che la potenzialità economica. Ci sono esempi negativi in un senso e nell’altro. Ripartire dai campi polverosi non è stato divertente per nessuno. Nell’agosto del 2009 non c’erano neanche i palloni e grazie a un gruppo di imprenditori si è potuta riscrivere una storia con enormi sacrifici sotto ogni punto di vista pur commettendo errori, alcuni legittimi all’inizio. La passione, però, alla fine è stata decisiva. Chi fa calcio oggi in certe categorie lo fa specialmente per quello e per uscire da una certa melma. Fino alla Lega Pro per un imprenditore è difficile garantire una certa solidità finanziaria. Molti ci hanno rimesso l’osso del collo. Senza una serietà di fondo, che la famiglia Taccone ha saputo sempre garantire da sola o quando in società erano presenti diversi partner, è dura alimentare un progetto che, in questo sport, può considerarsi quasi sempre a breve scadenza. Il discorso giovani è lungo e tortuoso e sono sicuro che ad Avellino si potrebbe valorizzare meglio il calciatore locale. Questa è un’altra storia”.
Serie D-Juventus Stadium, un sogno che diventa realtà?
“E’ sicuramente l’argomento degli ultimi giorni. L’amore per la vecchia Signora è rispuntato come negli anni d’oro quando i rapporti tra le due società erano davvero ottimi. E’ una storia nota e gelosamente custodita dai protagonisti di quei tempi meravigliosi. La trasferta di Torino non deve essere considerata come un punto d’arrivo ma di partenza o quantomeno di conferma della bontà del lavoro svolto nell’ultimo anno e mezzo dallo staff tecnico, e dai tutti i protagonisti dietro le quinte, capeggiato da Massimo Rastelli non a caso arrivato ad Avellino. Un campionato vinto, lupi in piena zona play-off in serie B e gli ottavi di Tim Cup. Si, il sogno è diventato realtà. Da Lamezia Terme (prima trasferta in serie D, ndr) alla Juventus. Il tragitto non è stato così breve e indolore”.
Giusto fischiare l’Avellino in una posizione di classifica così soddisfacente?
“Onestamente sono rimasto indignato e amareggiato. Il tempo trascorre velocemente nel calcio e la “memoria corta” è la conseguenza di ritmi forsennati e situazioni nuove all’ordine del giorno. Una sindrome dannosa che rischia di minare rapporti ed equilibri non solo interni. Lo sfogo di Rastelli condiviso da calciatori e dal direttore sportivo Enzo De Vito, poi rientrato parzialmente, personalmente è da apprezzare. Non si possono assolutamente fischiare questo gruppo. Non si deve colpevolizzare qualcuno perché non vince sempre. L’atteggiamento del Cesena ha dimostrato che l’Avellino comincia ad essere temuto e studiato dagli altri. Nello sport capita che l’avversario sia più bravo o semplicemente fortunato, quindi, l’Avellino – e i veri tifosi lo sanno – va solo sostenuto e incoraggiato. Poi, la dirigenza sa cosa fare. Magari un giorno sarà costruito uno stadio di proprietà con la possibilità di sbattere fuori portoghesi, gufi, cornacchie, abusivi e così via. A loro mi sono dedicato di recente mio malgrado. L’Avellino è sulla buona strada”.
In che senso?
“Nel senso che la salvezza è raggiungibile a quota 50 punti più o meno. Prima si arriva a quella soglia meglio è. Poi, si può parlare di altro. Sognare è giusto, guai se non ci fossero ambizione e competizione. I tifosi possono pensare in grande, senza perdere l’umiltà necessaria per raggiungere qualsiasi traguardo. Pensiamo a conservare la categoria, poi l’appetito vien mangiato e, con in tasca qualcosa, ricolorare i ricordi d’un tempo sarebbe ancor più piacevole e meraviglioso”.