‘A freddo’ giunge l’analisi del voto di Carmine Montanile, ex Consigliere Comunale del Pdl, che nel documento spiega i motivi che, secondo lui, hanno portato alla sconfitta del centro destra, o meglio della destra, nella competizione per il Comune di Avellino:
“Abbiamo atteso tanto per rendere conto delle ragioni di una sconfitta al solo scopo di non inquinare il nostro ragionamento con malesseri di ordine personale. La disfatta elettorale risulta essere ancora più amara se ci poniamo in maniera distaccata di fronte al dato numerico; l’analisi del voto ci rassegna uno scenario inequivocabile nel quale, è evidente, non ha perso De Mita, Galasso o Gengaro, né Festa o Micera per i quali è indiscutibile il raggiungimento di un ben definito obiettivo politico, ma solo la destra. E non per la scelta di una strategia dai più ritenuta errata o, come qualcuno ha recentemente affermato, per difetto di comunicazione (rispetto alle alleanze); ha perso perché non ha saputo costruire una base unitaria interna tra tutte le forze che la compongono. Ha perso ed è implosa malamente perché qualcuno, per analisi inesatta, ha scelto con fredda e cinica determinazione di forzare la mano dall’alto di una sopravalutazione delle proprie capacità o di un presunto potere all’interno di un partito che non ha avuto nemmeno il tempo di nascere che è già stato ricacciato nell’oblio del più assordante anonimato, almeno nel Comune della nostra città.
Ha perso la destra perché la strategia dell’affermazione personale allo scopo di dettare regole, condizioni e nomine, non paga. Ha perso perché i patti, le strategie e gli obiettivi si costruiscono e si perseguono insieme, ed insieme si rispettano: le vittorie o le sconfitte non possono essere del singolo, ma del gruppo. Ha perso la destra perché alla fine noi tutti abbiamo meritato di perdere: non per le scelte della “classe dirigente” che deve avere e dare tutele ed indirizzi e che pure è stata latitante, ma per la irragionevole caparbietà di chi ancora oggi ha la temerarietà di calcare la scena politica cittadina nonostante le sconfitte e che non ha ancora capito che la sua politica non infonde certezze e, per tale motivo, non persuade più nessuno. Troppo comodo e conveniente attribuire oggi ad altri i motivi di una disfatta che molti fingono di non vedere perché è fastidioso prendere atto che essa trova le ragioni e i presupposti in una involuzione ideologica che è stata strumentale agli egoismi di piccoli politici in carriera.
Troppo comodo e conveniente affermare che si è perso solo perché si è concluso un accordo con De Mita o solo perché si è stati incapaci di spiegare le ragioni della utilità di un patto con schegge impazzite e risentite della sinistra che abbiamo sempre avversato. L’alleanza poteva essere “conveniente” se fossimo stati capaci di essere “protagonisti” di quella intesa, se fossimo stati gli attori, la parte attiva e determinata di quell’ accordo, perché il fine (del governo della città) doveva giustificare il mezzo (l’alleanza con De Mita) ; l’alleanza invece l’abbiamo subita fino in fondo, fino all’annullamento, alla negazione di una ideologia svuotata di ogni identità e propulsione culturale.
E la catastrofe si è completata perché non è stato possibile, ci auguriamo più per difetto di tempo che per incapacità, di dar vita ad un nuovo organismo politico che potesse essere la sintesi di processi economici, culturali e politici capaci di riconoscersi e fondersi in esso ed essere da esso stesso rappresentati. Se così fosse stato avremmo celebrato oggi altre spinte, altri pensieri, altri progetti. Pur tuttavia la sconfitta elettorale richiede non momenti di autofustigazione ma la capacità di imprimere una svolta al processo di costruzione del Pdl affinché il partito sia in grado finalmente di realizzare un suo vero radicamento popolare, passando attraverso la definizione di una precisa identità politica, strutturale e programmatica. Senza inutili recriminazioni e regolamenti di conti, anche se ci tocca rimarcare, perché ne abbiamo consapevolezza, che non vi possono né vi devono essere santuari intoccabili nei vertici del partito.
Siamo contro la cristallizzazione delle appartenenze e gli antichi rancori e oggi, per superare l’onta di una sconfitta che mai si è conosciuta di questa portata, occorre riaprire il processo di rinnovamento dei gruppi dirigenti e premiare la competenza, il merito, la reale capacità di rappresentanza, il pluralismo culturale, con una discussione seria, trasparente e soprattutto partecipata che sia forza propulsiva di un processo costitutivo quanto mai inevitabile”.