Settore costruzioni: volano della contribuzione del Pil, un’attività che corre superando le più rosee aspettative. Secondo dati di rilievo nazionale, infatti, nel 2004 gli investimenti in costruzioni hanno registrato un incremento quantitativo del 3,1 per cento mentre le previsioni attribuivano un dato di crescita dell’1,3 per cento. Un ciclo positivo che va avanti da circa otto anni e che traccia le premesse per un 2005 all’insegna di una crescita pari all’1,7per cento. Dunque, il settore costruzioni resta senza dubbio quello più dinamico dell’intera economia soprattutto provinciale. Ed a parlare sono proprio i dati: nel periodo 1999-2004 l’edilizia è cresciuta del 21 per cento a fronte di una crescita del Pil dell’8,6 per cento. L’indotto lavorativo ha raggiunto quasi 2 milioni di unità e nel solo anno 2004 ha sfiorato 100 mila unità lavorative. L’occupazione nell’edilizia nel periodo considerato ha alimentato, con il suo 23 per cento, il dato complessivo della media nazionale pari al 9 per cento. Sebbene si tratti di dati incoraggianti e positivi cresce l’allarme del sindacato Filca-Cisl. Una tensione, si legge in una nota di Mario Melchionna, giustificata dai timori “…per un trend che, a causa di vari fattori, sembra stia calando. Ciò che ha determinato la crescita del settore edile è stata in particolar modo la parte privata: la costruzione e la ristrutturazione di nuove abitazioni. Un discorso a parte merita, invece, il comparto delle opere pubbliche non solo per difficoltà di ordine burocratico e amministrativo o per inefficienza delle pubbliche amministrazioni ma ancor di più in quanto la crescita è vincolata dai tagli alla spesa pubblica. In concreto il tetto del 2 per cento già produce un rallentamento dell’andamento positivo in edilizia ma la cosa peggiore potrebbe essere data dagli effetti a medio termine che determinerebbero una battuta di arresto nel 2006. La politica economica governativa è pressoché deleteria per tre ordini di ragioni: non ha compreso a pieno che in un periodo di recessione e di contrazione dei consumi e del reddito si dovrebbe adottare un modello keneysiano favorendo gli investimenti soprattutto pubblici. Non esiste una politica adeguata del reddito, anzi, questa potrebbe considerarsi addirittura fallimentare considerando che il benessere passa per la maggioranza dei cittadini che assaporano nuovi e crescenti livelli di povertà. Si tratta di una politica disorganica contrastante soprattutto i più elementari principi economici dell’utilità marginale. E la critica del sindacato non può che essere feroce quando si continua deliberatamente ad affrontare i problemi con irresponsabilità ed un senso politico assolutamente mediocre. In provincia di Avellino se l’edilizia riflette il dato nazionale di crescita, allora ci si trova di fronte ad una grossa problematicità che riguarda il lavoro nero e sommerso sulle punte del 60 per cento, un livello crescente di criminalità organizzata che pesa sui costi delle opere, la sicurezza che stenta a decollare come investimento di cultura e di competitività anziché quale costo da scontare sulle aggiudicazioni degli appalti con vergognosi ribassi che raggiungono anche il 40 per cento”.
Redazione Irpinia
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