Qualcuno ha definito la partita dell’Italia contro la Nuova Zelanda come il Partito Democratico: senza personalità, senza idee e senza attaccanti capaci di tirare in rete. Il paragone, per quanto ingiusto nei confronti dei nostri nazionali (che almeno, allo stato, sono campioni del Mondo uscenti… ), regge per il partito di Bersani e company che sembra, anzi lo è, pervaso da una strana apatia e dai ritmi blandi di una convegnistica fine a se stessa dove emerge il ruolo di qualcuno e la chiacchierologia delle decisioni che non producono effetti. Il caso calza a pennello per il partito orfano di De Mita che, in una sorta di autolesionismo, riesce a collezionare sconfitte su sconfitte e in qualche caso pareggi che non aiutano la classifica. Una classifica deficitaria con l’abbandono di molti, con tanti che si definiscono ‘osservatori’ in procinto di fare l’ennesimo passaggio e con il disagio dei pochi dirigenti alle prese con la testardaggine della difesa del ‘fortino’ e delle posizioni conquistate in passato. Posizioni, è bene ricordare, frutto di un partito unito ai tempi di De Mita, sfilacciato all’indomani del divorzio e in calo costante di gradimento e di… voti. Resta l’amaro in bocca per i tanti che si erano illusi al progetto, dimostratosi solo dialettico, di Walter Veltroni e per i tanti giovani che pure si erano avvicinati ad un partito definitosi riformista e ricco di rinnovamento e di speranza. Purtroppo solo parole. L’ennesima brutta figura alla Comunità Montana Alta Irpinia con la solita guerra fratricida tra Caino ed Abele – Capozza contro Rizzi – è la dimostrazione di un partito senza autorevolezza e senza guida. In nome dell’unità tutti sono autorizzati ad esternare idee e strategie ma il vaso appare davvero colmo e il suicidio appare ormai collettivo. Il crollo costante delle posizioni dei democratici all’interno degli enti segue una costante che solo i ciechi non riescono a distinguere. Consiglieri provinciali che lasciano il partito, sconfitte amministrative nei maggiori comuni, cambio di casacca e perdita di potere nei Piani di Zona e negli enti montani più importanti, enti di servizio scricchiolanti e in attesa di svolte clamorose, sindaci in procinto di approdare su altri lidi, le polemiche ormai quotidiane al Comune capoluogo, diventato l’unico baluardo del partito, etc etc. Sono solo alcuni segnali del disagio e della disgregazione di un partito imbrigliato nella logica del fortino e poco attento alle dinamiche della politica in generale. Intervistando gli iscritti emerge la rabbia verso la classe dirigente incapace di rinnovarsi e in alcuni casi anche di dimettersi. Sempre le stesse facce, sempre lo stesso linguaggio abbinato all’incapacità di intercettare il nuovo che avanza. Qualcuno dirà che anche negli altri schieramenti, sono sempre le stesse facce e lo stesso linguaggio. Sarà anche così ma le strategie e le idee degli altri sono vincenti e attuali in termini di potere. Al Pd tocca fare l’opposizione e su questo tasto arrivano le note dolenti. È un partito bloccato, quasi statico, a centrocampo e in attacco. Quasi imborghesito e imballato nelle logiche del passato. Forse è il caso di rimboccarsi le maniche e l’esecutivo attuale, a dire dei più, farebbe bene a pensionare qualcuno e rimodulare persone e idee. Perché non c’è limite all’ostinazione e alle prese di posizione. Appunto… errare è umano, perseverare è diabolico. Spesso occorre cambiare: dal modulo di gioco alla disposizione dei giocatori.
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