Il mondo parla nelle foto di Francesco Chiorazzi

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Foto di Francesco Chiorazzi
Foto di Francesco Chiorazzi

Immagini di viaggio dai colori brillanti che celebrano la vita, scatti di intensa emozione: questa è la fotografia di Francesco Chiorazzi.

Scorrere le immagini dei reportage di viaggio di Francesco Chiorazzi vuol dire essere condotti in una dimensione particolarissima dell’animo, dove la vicinanza e la partecipazione alle vicende del soggetto immortalato sono tali che sembra di poter sentire i suoni circostanti, gli odori, le sensazioni tattili, insomma vivere quel “qui e ora”.

Si tratta infatti, nella maggior parte dei casi, di ritratti particolarissimi nei quali, un po’ come nelle rappresentazioni rinascimentali, c’è sempre un oggetto, un abito, un dettaglio qualsiasi che fissa nel tempo e nello spazio quel preciso istante, racconta la storia del soggetto ritratto e ci aiuta a fermare quello sguardo, quel sorriso, quella ruga nel magma dei milioni di uomini che abitano la Terra e la Storia.

Il fascino di queste immagini sta tutto in quest’alternanza tra simbolo e tempo, tra assoluto e contingente, tra arte e cronaca; la capacità del fotografo, però, sta tutta nel rispetto e nella simpatia, in senso etimologico, con cui si dedica a strappare dal flusso del transeunte i volti di donne, bambini, anziani, generalmente abitanti di luoghi del mondo tanto belli quanto poveri o oppressi.

Francesco Chiorazzi
Francesco Chiorazzi

Francesco Chiorazzi, nato nel 1959 in provincia di Potenza a Chiaromonte, vive e lavora ad Avellino e inizia a fotografare nel 1980 per documentare il dramma del terremoto in Irpinia.

Da allora, quasi naturalmente sceglie il reportage come genere fotografico prediletto, che coltiva intensamente nei suoi viaggi all’estero.

Al suo attivo ben quattro libri fotografici, realizzati sia in versione cartacea che in e-book, dal titolo:

Burma, 2006, Rajasthan Colors, 2008, Indochina, 2009, Cuba Espera, 2010. Nel 2013/2014 ha preso parte a Roma come fotografo per il progetto “Strane Straniere” finanziato dalla Provincia di Roma e, di recente, ha ideato una “fanzine” di fotografia dal nome “vnmagazine (viewnotesfanzine)”.

Francesco Chiorazzi, com’è nata la passione per la fotografia?

Foto di Francesco Chiorazzi
Foto di Francesco Chiorazzi

Ho un vago ricordo di quando ero un bambino e, vedendo le foto che i miei ci scattavano ai compleanni o al mare in vacanza, mi chiedevo come potevano uscire delle stampe dal quella strana cosa che per me era il rullino. Un giorno ne rubai uno dalla macchina fotografica di mio padre e sotto una tenda scura da me inventata tentai con vari liquidi di “svilupparlo”, ma non usciva mai niente, il mistero continuava. Io, nella mia vita, fino al 1980 non ho mai scattato una sola foto. Poi il giorno dopo il terremoto presi l’Olympus OM10 di mio padre e insieme al mio amico Gianni Terraglia uscii a scattare foto tra le macerie ed i morti in città. Da quel giorno non ho più abbandonato la fotografia e in ogni giorno della mia vita c’è sempre stato qualcosa di attinente con la fotografia. Sono un autodidatta, ho sempre studiato e continuo a farlo ancora oggi”.

Quali sono i suoi maestri o le sue fonti d’ispirazione?

Anche la storia della fotografia fa parte dei miei studi e i maestri che mi hanno in qualche modo ispirato sono: dei vecchi, Henri Cartier-Bresson mentre dei contemporanei mi piacciono Alex Webb e Steve McCurry”.

Quali sono le tecniche che predilige nella realizzazione dell’immagine?

Se parliamo di tecniche posso dire che amo il colore; ho fatto in passato tanta camera oscura, ma oggi mi piace molto la camera chiara, senza esagerare ovviamente. Amo i grandangoli anche abbastanza spinti e non amo i tele. Diciamo che mi spingo fino all’85mm che secondo me è la migliore ottica per un bel ritratto; però lo uso pochissimo in quanto prediligo il ritratto ambientato, contestualizzato. Come genere quindi amo il reportage fotografico, ma non tanto quello legato ad eventi, quanto quello legato ai luoghi ed alla gente che ci vive, foto di viaggio e street”.

Paesaggio, reportage, ritratto, quali sono le diverse emozioni che le suscitano?

Il paesaggio non è il mio genere, le rare volte che mi ci sono cimentato ho sempre fatto in modo che, anche se solo in maniera trasversale, nell’inquadratura ci fosse la presenza umana. Mi piace molto però l’emozione legata ad un paesaggio deserto, di tipo urbano, con pochi elementi che composti bene possono dare un effetto grafico molto interessante. Gli altri due generi, per quanto mi riguarda, li metterei insieme, in quanto sono quelli che caratterizzano la mia fotografia. Quello che può darmi emozione in questi due generi potrebbe essere: uno sguardo intenso ed interessante, una persona interessante, i bambini, la povertà dignitosa, i gesti, un gesto d’amore, l’insolito, la religione, ogni tipo di religione, la quotidianità, ecc. ecc., ma comunque la vita”.

Foto di Francesco Chiorazzi
Foto di Francesco Chiorazzi

Un episodio divertente e uno commovente dal suo album dei ricordi fotografici.

Un episodio divertente, però tra virgolette, in quanto in quel momento non è stato tanto divertente, mi è capitato in India. Era un primo pomeriggio caldissimo a Varanasi (intorno ai 45°), ero insieme ad un amico indiano che mi accompagnava e mentre parlavamo per ripararmi dal sole, vado sotto una specie di baracchina, insomma quattro assi con un telo. Noto un mucchietto di capelli tagliati e incuriosito inizio a fotografare. All’improvviso vedo correre verso di me un nutrito gruppo di ragazzi che urlavano e raccoglievano pietre. Il mio amico, anche lui urlando, mi dice di correre ed insieme scappiamo. Praticamente il telo serviva da riparo alle ceneri ancora non raccolte, di un parente dei ragazzi che inveivano contro di me, sulle quali io avevo messo i piedi.

Commovente invece, sicuramente, è il momento in cui sono arrivato, in un tardo pomeriggio, nella piccolissima e povera cittadina indiana di Kargil al confine con il Pakistan, semi distrutta dalle bombe pakistane. Entrando in questa città villaggio, a piedi, guardavo queste scene di quotidianità incredibili e molto suggestive. Insomma per un fotografo era come un parco dei divertimenti. Vedo un gruppo di persone che guardano in sù e al terzo piano di una palazzina, dalla finestra di casa sua, un uomo sporge due stecchette di legno con due fili elettrici e li collega al palo della luce del villaggio. All’improvviso si illumina casa sua e tutti gli fanno un grandissimo applauso. Lì, in quel momento, non lo so perché, piangevo di commozione. Così come quando a Leh, sull’Himalaya, mi sono trovato di fronte il Dalai Lama ed ho avuto l’occasione di scattare dei ritratti oppure quando all’Avana ho trascorso una mattinata a conversare, a casa sua, dove eravamo andati per alcuni scatti, con il grande amico del Che, Alberto Granado dei “Diari della motocicletta”, tra l’altro insieme al carissimo Gabriele Matarazzo, che non c’è più e che voglio ricordare”.

Quali sono le mostre o le pubblicazioni più importanti cui ha partecipato?

Foto di Francesco Chiorazzi
Foto di Francesco Chiorazzi

Sicuramente è il progetto “Strane Straniere”. Un progetto finanziato dalla provincia di Roma e portato avanti per più di un anno insieme all’antropologa Maria Antonietta Mariani, alla scrittrice croata Sarah Zuhra Lukanic ed alle due galleriste Ljuba Jovicevic biologa, serba e Ana Laznibat architetto, croata. Per un anno abbiamo “seguito” la vita di tredici “strane straniere” con interviste, fotografie e riprese. Tredici “strane straniere” di varie nazionalità che, arrivate in Italia per la maggior parte dei casi come clandestine, si sono inserite ormai benissimo nella nostra società creando anche delle realtà imprenditoriali di successo. Il tutto poi è terminato con la mostra fotografica ambientata nell’edificio storico dell’Acquario Romano, oggi sede della Casa dell’Architettura”.

Oggi la fotografia è ormai completamente digitale, i tempi romantici dell’attesa in camera oscura sono quasi archeologia, ci può essere lo stesso calore nelle immagini, la stessa emozione e possibilità di lavorare i supporti come si faceva un tempo con i chimici e la carta?

Io sono passato al digitale quasi subito, nel 2003 e da allora ho adottato definitivamente il colore. Sono passato dalla camera oscura alla camera chiara, devo dire con molta facilità e senza rimpianti, anche perché, per mia natura, guardo sempre e solo al presente e con la coda dell’occhio verso il futuro. Il passato è passato, serve solo come esperienza. Quindi nessun rimpianto, anzi tanti vantaggi e se vogliamo anche la possibilità di vivere in maniera più intensa e più immediata l’emozione”.

A suo avviso c’è abbastanza spazio per la fotografia nella nostra città?

Secondo me c’è poca fotografia nella nostra città, per cui lo spazio abbonda”.

Quali sono gli altri fotografi irpini di cui apprezza il lavoro, a suo avviso c’è una “scuola avellinese” di fotografia? Possiamo eventualmente ricostruirne un po’ la storia?

A mio avviso non c’è una “scuola avellinese” di fotografia anche perché la città è molto piccola, ma sarebbe molto affascinante recuperarne la storia magari attraverso gli archivi privati dei vecchi fotografi. A proposito citerei il sito “avellinesi.it”, secondo me una gran bella cosa. Per quanto riguarda i nomi di altri fotografi io ne farei tre. Uno che appartiene alla mia generazione, con il quale ho condiviso tanti bei momenti fotografici e che stimo molto fotograficamente: Antonio Bergamino. Gli altri due sono due giovanissimi avellinesi. Uno è Amedeo Porfito, a mio avviso un fotografo di reportage con un buon futuro in questo genere; l’altra è Domenica Melillo conosciuta anche come Cattina Elettroshock, che io definirei una creativa, grande visionaria, ammiro tutto quello che produce perché secondo me ha una grande capacità di creare, mai banale”.

Giovani e fotografia, se ne vedono tanti in giro con le reflex, c’è desiderio di imparare la tecnica oppure prevale l’approccio “istintivo” all’immagine?

Entrambe le cose… anche se, considerata la facilità con cui oggi si può scattare, diciamo un po’ alla portata di tutti, molti tendono a sottovalutare lo studio. Per quanto mi riguarda, invece, io vorrei tanto recuperare quell’approccio “istintivo” all’immagine, che, forse sarà l’età, ma a volte sento che mi viene a mancare, troppa riflessione… insomma mi manca un po’ l’istintività dei vent’anni”.

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