Giustizia, Airoma: il senso del limite vero riferimento per il magistrato

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CATANIA- “Il senso del limite”. E’ quello che devono incarnare i magistrati se vogliono riscoprire il loro ruolo in una società che è cambiata ed è stata scossa da due “terremoti”. Due scosse che hanno creato da una parte la delega in bianco alla “giurisdizione penale” sull’etica pubblica e, quello più grave, hanno assegnato alla giurisdizione penale una missione di “redenzione sociale” e la scelta su temi e principi del consorzio sociale, sostituendosi ad altri poteri: un “dirittismo” da bocciare. E’ così che il Procuratore di Avellino Domenico Airoma, ospite del dibattito a Catania promosso dalla Fondazione Luigi Einaudi, dove si è discusso nell’Auditorium della Chiesa della Purità sulla “Riforma della Giustizia” e ha voluto rappresentare come a 40 anni dalla conferenza di Rosario Livatino sul ruolo del giudice nella società che cambia sia proprio di stretta attualità, offrendo alcune “suggestioni” sul tema. Un tema caro al magistrato alla guida della Procura di Avellino, visto che il titolo dell’ incontro è simile a quello che il il 7 aprile 1985 tenne presso il Rotary Club di Canicattì Rosario Angelo Livatino, ovvero una conferenza dal titolo: “Il ruolo del giudice nella società che cambia”. Airoma ha spiegato questo ruolo a partire da una metafora, con cui ha voluto spiegare cosa dovrebbe rappresentare il ruolo del magistrato, sui temi per cui oggi si è scelto di assegnargli un sorta di guida etica ed in una fase anche caratterizzata dalla volontà di sostituirsi su scelte che riguardano la vita. “Mi sono battuto sempre contro questo collateralismo politico- ha spiegato Airoma- che oggi ritorna sotto mutate spoglie. In realtà si separano i giudici in due categorie, a seconda di chi vuole appunto farsi alfiere e portatore di questa nuova visione, cioè di guida etica nella società e chi invece ritiene che il ruolo del giudice sia quello di interpretare, magari trovando un anima la legge. La stessa differenza che esiste signori tra il maestro d’orchestra. Esistono tanti maestri orchestra, non sono tutti uguali, il bravo maestro orchestra è quello capace di trarre appunto l’anima dello spartito, ma non lo cambia lo spartito. Non lo cambia lo spartito, questa differenza è fondamentale Io non voglio cambiarlo, perché non spetta a me, semplicemente questo. Non spetta a me. Perché vi faccio un esempio molto molto semplice, se volete. Sono personalmente contrario all’aborto, non mi sono mai sognato di utilizzare la mia funzione strumentalizzandola per non applicarlo, infatti non me ne occupo mi tengo ben lontano, ma il mio impegno magari culturalmente perché cambi una certa sensibilità rispetto a questo tema. Ma la misura sta nel fatto che non ho mai sognato di strumentalizzare la mia funzione questa è la differenza fondamentale, questo mi è stato insegnato, questo mi è stato educato”. Per il Procuratore di Avellino si tratta proprio della deontologia di un magistrato. E ha aggiunto: “nell’apprezzare la scelta di questo titolo al convegno, perché evoca una figura di magistrato a cui io sono particolarmente affezionato, se vogliamo veramente incarnare quel modello di magistrato che ha incarnato Rosario Livatino, riscopriamo una dote fondamentale : il senso del limite. Il senso del limite, credo che sia questa la soluzione, cioè la soluzione o la strada per la soluzione signori, poi è molto difficile, sarà molto difficile arrivare ad un’etica pubblica condivisa, sarà difficile ora perché siamo nella fase in cui veramente abbiamo demolito tutto è in cui siamo imbevuti di una relativismo pratico e assoluto che sembra quasi essere la nuova Bibbia di questo nostro tempo. e allora ci vorrà del tempo sicuramente per ritrovare condivisione di quei principi fondanti. Ma allora e nel frattempo il senso è il limite il rispetto degli altri poteri, in primis per i giudici. Sarebbe credo già un buon passo in avanti”.

QUARANTA ANNI DOPO INTERVENTO DI LIVATINO “PROFETICO”
Un intervento “profetico” e di grande attualità quello che nonostante siano trascorsi quaranta anni, proprio Rosario Livatino rappresentò nella conferenza sul ruolo del giudice. A partire dai rischi “ai quali si esponeva la giurisdizione. Sono quasi 40 anni che faccio questo mestiere-ha spiegato Airoma- quasi tutti impegnati a fare il pubblico ministero. Questa professione così esecranda, ecco, come è stata evocata anche nella precedente relazione. Vorrei dire, permettetemi soltanto che come giustamente evocava Andrea, ogni funzione passa sempre attraverso le persone. Dunque vi posso assicurare che esistono pubblici ministeri che sono anche sensibili ai diritti degli indagati e che provano anche a ricercare, badate un po’, le prove a favore. Ci sono, esistono. Vi assicuro che esistono, anche altri, io sono difensore anche disciplinare, come qualcuno sa e quindi tocco con mano anche la patologia della magistratura. Però ne esiste anche una fisiologia, perché ci sono le persone ci sono gli uomini, grazie a Dio. Bene, la società che cambia. Io direi la società che oramai cambiata. Ma in che cosa e’ cambiata? Perché penso che questo sia il tema dal quale occorre partire. Qualche tempo fa, nel 2014, inaugurando l’anno giudiziario l’allora procuratore generale Gianfranco Ciani partiva da una considerazione. Diceva: signori, oramai dobbiamo rassegnarci non vi è più un’etica pubblica condivisa. Non ci sono più principi, potremmo dire universalmente riconosciuti come intangibili indiscutibili e questo ha prodotto un sisma. Questo ha prodotto un vuoto che è stato occupato da che cosa o meglio da chi? Questo era l’interrogativo che si poneva Gianfranco. Ciani. In realtà è stato occupato da una delega che è stata data alla giurisdizione penale. Per capire se un pubblico amministratore si fosse comportato bene o male si attendeva neppure neanche la sentenza, molto spesso questo solo un’informazione di garanzia. Non voglio fare la storia mondiale troppo indietro nel tempo ma sicuramente uno snodo importante e’ Tangentopoli, non lo discuto. Ma se vogliamo guardare a una dimensione diacronica più ampia certamente il fil rouge che accomuna questi anni potremmo dire che è questo: l’assenza di un’etica pubblica condivisa e dunque la delega buona sostanza alla giurisdizione penale di stabilire le regole di convivenza e questo spiega per quale ragione signori il pubblico ministero ha finito con l’assumere un ruolo oggettivamente sovraesposto. L’abbia ricercato o no. In questa fase non mi interessa neanche stabilirlo, però Capiamo le ragioni profonde di quello che è accaduto”.

NESSUN UOMO E’ LUCE A SE STESSO
La conclusione dell’intervento di Airoma non poteva che riguardare un’altra importante riflessione promossa dal giudice Livatino. una frase che andrebbe scritta in ogni aula di giustizia, ma non alle spalle ma davanti ai giudici, perché la possano vedere costantemente nel loro giudicare. Livatino aggiunge e conclude nessun uomo è luce a se stesso. Ricordiamocelo, grazie