Gesualdo – Venerdì 6 aprile, alle 21:30, risorge ‘La Passione di Gesualdo’, interrotta da qualche anno. Don Alberico Grella, insieme a un foltissimo gruppo di giovanissimi (Roberto Flammia, Silvia Caracciolo, Giovanni Nitti, Daniele Modano, Tony Lepore, Giovanni De Stefano, Chiara D’Addese, Fabio, Pamela, Alessandro, Valeria, Nicola) ne sono i promotori e protagonisti. Il Comune, cogliendo tanto entusiasmo, ha impugnato il patrocinio della manifestazione. Un intero paese partecipa all’evento religioso e culturale del tradizionale venerdì Santo, che per la provincia di Avellino e per Gesualdo, in particolare, ha un carattere peculiare rappresentato dal fatto che le musiche “Tenebrarum” della passione di Cristo sono quelle composte a cavallo tra il 1500 e 1600 dal principe della cittadina Irpina. La rappresentazione della Passione fu concepita per la giornata del “Venerdì Santo” di Pasqua e scaturisce dall’ambito delle attività culturali, che ruotavano intorno alla figura del musicista principe Carlo Gesualdo, mecenate, come suo padre e i suoi successori, del convento francescano del 1500, con annessa chiesa, dove, lo storico e studioso Annibale Cogliano ritiene sia sepolta, in una cassa plumbea, la salma del principe e del di lui figlio Emanuele e dove è custodita “la pala” misericordiosa che ritrarrebbe anche il musicista, principe e uxoricida, nell’atto di supplicare la grazia di Dio e la misericordia per i suoi peccati. Il comitato volle, in maniera del tutto suggestiva e fantasiosa, mostrare il concetto e l’esternazione religiosa del principe-musicista che ha rivolto una parte importante della sua produzione artistica alla composizione di musica sacra “di espiazione” e in particolare, al periodo sacrificale della vita di Cristo e del momento in cui si avvera il mistero profondo e dirompente dell’essenza cristiana come lo è stato per tutto il mondo di allora e di oggi ma soprattutto per il mondo cattolico, “La Redenzione”. Il “principe dei musici” lo fa componendo le ” Musiche delle Tenebre” liturgiche dei Responsorii e del Miserere, propri del periodo di Passione e della Settimana Santa. Infatti la manifestazione è la conclusione della processione tradizionale del venerdì di passione, ed è immaginata e realizzata inscenando la condanna e morte di Cristo, esattamente in quei luoghi ristrutturati ed edificati dai Caracciolo, Gesualdo e Ludovisi alternativamente succedutisi nella signoria del territorio. Proprio quei luoghi intensamente vissuti, nel momento particolare del rifugio, all’indomani dell’uxoricidio commesso a Napoli, da don Carlo, quando colse, in fragrante adulterio, la moglie Maria D’Avalos e il suo amante Fabrizio Carafa. Gli stessi luoghi e i medesimi edifici che hanno avvolto e ospitato “il corpo maciullato e l’anima tormentata, penitente e estasiata”, tanto più martoriata quanto più elevata fu, la musica, le languide melodie e l’estro geniale del compositore Carlo Gesualdo, madrigalista tra i maggiori d’italia nonché tra i fondatori della scuola Napoletana e precursore della musica polifonica moderna. Realizzando e compiendo idealmente e immodestamente, un lavoro incominciato dal principe, al quale con le scene, si da la compiutezza. Immaginando così una incognita e fantasiosa volontà testamentaria mai esistita. Le scene volute rigorosamente notturne e tenebrose, con le immagini e gli avvenimenti eccezionali della vita di Gesù, raccontati con recite viventi, luci, musiche, rumori ed effetti speciali di grande impatto emotivo, a cui la musica dell’illustre cittadino di Gesualdo fanno da colonna sonora quasi per l’intero percorso. La rappresentazione, dopo l’arrivo in piazza della serpentina processione tra le stradine del borgo medioevale, parte dalla chiesa di S. Nicola che simboleggia i luoghi del Getzemani, del Sinedrio e del palazzo di Erode , con Gesù condotto in catene alla Cappella Del SS. Corpo Di Cristo, “Il Cappellone”, che, per l’occasione, ospita il Pretorio e Pilato, al quale cospetto Gesù, trascinatovi dai “sacerdoti” e da Caifa, viene accusato, processato, flagellato e condannato a morte. Da qui si diparte la “Via Crucis” secondo gli schemi tradizionali del teatrino medioevale, che si arrampica per le vie che conducono fino all’ex chiesa e convento dei celestini e poi al castello abbarbicandosi sui primi bastioni. Proprio il Castello diventa il Calvario della Crocifissione, Morte e Resurrezione, nell’incanto emozionante e suggestivo dei luoghi percorsi da spiriti turbati e agitati, in quei luoghi dove anche l’anima di don Carlo visse la sua espiazione, il suo più personale tormento, la sua stregata inquietudine e la sua elevazione al cielo; si vuole sperare redenta. Vivendo in intensa diretta le emozioni più profonde che scaturiscono allo stesso tempo dal drammatico mistero del cristianesimo e lo struggente rimorso del principe assassino agitato e turbato nella sua coscienza morente, dai suoi scrupoli e dalle sue paure rivolte verso l’ignoto mondo dell’aldilà, attraverso la sua musica. Qui, proprio attraverso quella sua musica delle tenebre, lo si rivede, come lo si può immaginare per ogni uno di noi, spiritualmente in croce con Cristo e nella massima contrizione. La scena si chiude con la vittoria di Cristo. Con il prevalere della misericordia infinita di Dio e della sua luce sulle tenebre. Con la Resurrezione dell’anima e del corpo di Cristo, così come lo sarà per tutti noi, anche per il penitente musicista, grazie alla infinita Misericordia Divina. Poi tutto rimane magicamente fissato a quel momento dove tre croci, davanti alla torre dell’Angelo, restano vuote, luminosa quella di centro, ammantata del sudario del Salvatore.
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