Il tour irpino dell’ex procuratore capo di Napolii Giovandomenico Lepore si conclude alla Camera di Commercio in occasione degli incontri “Scuola di Legalità”. Al tavolo dei relatori c’è anche il suo fraterno amico e collega con il quale ha condiviso molte inchieste Rosario Cantelmo, oggi procuratore ad Avellino. Che tra i due ci sia un rapporto di reciproca stima e ammirazione è evidente. Rosario Cantelmo fa un accenno al rapporto tra i due:
“Stimo molto Lepore con cui ho lavorato per 7 anni e a cui riconosco un’autorevolezza diversa. In quegli anni ha fatto rinascere la Procura di Napoli, uscita da una situazione devastante in cui intorno a noi le istituzioni contavano poco o nulla ed erano tutte oggetto di indagini, eravamo soli e isolati dalla città. Commentare questo libro, per me, è una partigianeria che viene dal profondo del cuore”. Non fosse altro che in più capitoli del libro, lo stesso procuratore di Avellino viene citato per alcune inchieste svolte all’ombra del Vesuvio.
Il volume è anche il testamento politico di un uomo – Lepore – che ha indossato la toga per quarant’anni, sette dei quali passati al vertice della procura partenopea, confrontandosi con alcune tra le inchieste più scottanti dell’ultimo decennio.
L’altro autore Nico Pirozzi, presente al tavolo della discussione spiega che “In questo libro vi sono temi analizzati con superficialità dalla società civile per questo – afferma – vuole entrare in profondità nei mali della giustizia, una crisi che affonda in quella che è la politica di questo paese. La camorra è come l’acqua si infila ovunque trova vie di accesso, ecco perché occorre intervenire non solo sul sistema economico ma anche su quello culturale. Tutti i presenti si lamentano dell’assenza della società civile in sala, degli amministratori, dei politici. Qualcuno addirittura in modo morsicato dice: “avevano paura di essere arrestati”. E’ l’antipolitica che cavalca inesorabile. Ma vedere tanti giovani, lì ad ascoltare con attenzione le parole dei procuratori e degli altri è motivo di soddisfazione.
Il messaggio principale di Cantelmo e Lepore è rivolto agli adolescenti. Per il procuratore di Avellino “è finito il tempo dello stare alla finestra la camorra entra nelle imprese e nelle nostre vite. A questo si deve rispondere con un impegno di ciascuno di noi per cambiare la mentalità di ragazzini che pensano che la camorra sia un bene (cita alcuni temi svolti da studenti nel napoletano ndr). .Molte volte la colpa non sta in chi compie il male, come afferma Don Ciotti, ma in chi non fa del bene e rimane a guardare. A voi ragazzi dico di stare sempre dalla parte giusta, quella delle Istituzioni”. Stesso anche per Lepore: “Combattere la mafia con l’impegno dei magistrati al fianco dei cittadini per rompere così il legame stretto che ha con la politica. Mai abbassare la testa, una speranza c’è. La malavita se è prosperata in questo Paese è perché non c’è lo Stato, è il primo inadempiente, i soldi venivano sperperati e non spesi. La criminalità organizzata riesce a mantenersi in vita perché ha un legame diretto con la politica poiché rappresenta un serbatoio di voti e, quindi, poi chiede il conto”.
Di stringente attualità il collegamento con la politica, l’ex Procuratore capo non risparmia critiche e bordate polemiche a una classe politica inefficiente e autoreferenziale, la cui maggiore preoccupazione sembra essere quella di mettere i bastoni tra le ruote della giustizia, con la complicità di leggi inefficaci e contraddittorie. “Ci dobbiamo ribellare con l’unica arma che abbiamo, quella della penna e della conoscenza perchè non votare è ancora peggio. – dice Lepore – Non dovete mai perdere la speranza, abbiate il coraggio di non avere paura”.
Ma un passaggio, che suona come un’autocritica della categoria, Lepore lo fa: “anche tra noi ci sta chi non fa niente, semmai si fa nominare in commissioni per evitare di lavorare. Oppure chi sfrutta le indagini per farsi pubblicità e poi candidarsi in Parlamento. La giustizia di oggi sicuramente giusta non lo è”. Nel racconto dell’ex procuratore trova spazio anche la questione sequestri e confische dei beni mafiosi. “Reputo – spiega Lepore – incomprensibile, per non dire altro, che circa il 90 per cento delle risorse in giacenza presso il Fondo gestito da Equitalia resti inutilizzato, nonostante le molteplici esigenze che andrebbero soddisfatte. Basterebbe ricordare la scarsa propensione delle banche a concedere mutui e prestiti alle aziende confiscate ai clan. Che senso ha, ribadisco, immobilizzare così tanti soldi? Sostenere che questo dipende dal fatto che molti di quei soldi potrebbero essere dissequestrati, non è una giustificazione credibile. E poi cosa significa, che nove provvedimenti di sequestro su dieci saranno prima o poi revocati? Non mi sembra che le statistiche dicano questo. Lasciamo stare i soldi e parliamo delle aziende e degli immobili confiscati. Su questo versante è più che evidente l’inadeguatezza del sistema di destinazione dei beni”.
“In questa prospettiva – incalza il magistrato – non capisco per quale motivo un bene confiscato non possa essere venduto (e non “svenduto”), attraverso una regolare asta giudiziaria, se lo Stato non è nelle condizioni di poterlo gestire. Se la questione riguarda le finalità, queste potrebbero essere tranquillamente garantite dai soldi incassati dalla vendita del bene confiscato. Qualcuno obietterà che l’immobile o l’azienda messi in vendita potrebbero essere riacquistati da un prestanome del proprietario a cui il bene era stato confiscato. Anche in questo caso non vedo quale sia il problema. Lo sequestriamo, ed eventualmente lo confischiamo una seconda e anche una terza volta. Procedendo in questo modo – conclude l’ex numero uno della procura partenopea – lo Stato potrebbe sgravarsi di quei beni che, se non gestiti con le dovute cautele e garanzie, si deteriorano e perdono valore”. Quest’ultimo tema molto a cuore della associazione Libera, che nella giornata odierna “ha scortato” l’ex procuratore di Napoli nel tour avellinese.