FOTO / “Io sono nessuno”: il testimone del caso Livatino si racconta in un libro

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Alfredo Picariello – E’ il 21 settembre del 1990, mattina di fine estate. Il giudice Rosario Livatino si sta recando, senza scorta, al tribunale di Agrigento, dove lavora. Sulla statale 640 Caltanissetta – Agrigento, all’altezza del viadotto Gasena (in territorio di Agrigento), quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina – organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra – lo ammazzano.

Livatino è a bordo della sua vettura, una vecchia Ford Fiesta color amaranto, quando viene speronato dall’auto dei killer. Tenta disperatamente una fuga a piedi attraverso i campi limitrofi ma, già ferito da un colpo ad una spalla, viene raggiunto dopo poche decine di metri e freddato a colpi di pistola.

Nel giorno in cui ricorre il trentunesimo anniversario dell’uccisione del giudice divenuto beato, alla Camera dei deputati è stato presentato il libro autobiografico del testimone dell’agguato. “Io sono nessuno” è la storia di Piero Nava, primo testimone di giustizia contro la mafia, che ha avuto il coraggio di denunciare quello a cui, per puro caso, aveva assistito. Nava, originario del lecchese, si trovava in Sicilia per lavoro come rappresentante di commercio per una serie di appuntamenti con i clienti.

La presentazione del libro è stata organizzata da Francesco D’Uva, Deputato Questore del MoVimento 5 Stelle.  Presenti all’incontro, moderato dalla giornalista Annachiara Valle, anche il presidente Pietro Grasso e la presidente Rosy Bindi “Oggi, in occasione del trentunesimo anniversario dall’uccisione del giudice Rosario Livatino, siamo qui per parlare di mafia e soprattutto di lotta alla mafia, un tema particolarmente caro al Movimento 5 stelle e a me personalmente”, ha detto D’Uva.

“Il tema della lotta alla mafia – continua D’Uva – non è molto al centro dell’attenzione e, in questo periodo, lo è ancor meno. C’è una sottovalutazione di questo fenomeno che alcuni ancora pensano possa essere confinato solo ad alcune specifiche parti di territorio italiano. E, invece, ha un carattere così pervasivo che da tempo ha assunto una dimensione non solo nazionale ma globale. Lo dimostra la recente sentenza del Tribunale di Roma sul clan Casamonica: la mafia può nascere in qualsiasi territorio. Inoltre, l’allarme lanciato sui fondi del Pnrr, preda allettante delle criminalità organizzate, deve spingere tutti a riflettere su questo fenomeno e ad alzare la soglia di attenzione per prevenire che le mafie allunghino le loro mani su queste risorse fondamentali per il Paese”.

“Leggendo il libro – spiega D’Uva – mi sono chiesto più volte cosa avrei fatto io al posto di Piero Nava: onestamente credo che avrei fatto la stessa cosa. Penso che questa domanda dovremmo porcela tutti”.

“Oggi è una giornata molto particolare per me, una giornata di tristezza perché un uomo è stato ucciso e un altro ha perso la vita. Io ho perso tutta la vita che avevo. È una settimana che ricordo tutto quello che ho fatto in quei giorni. Ero partito da Salerno diretto per lavoro in Sicilia. Ripartendo da Enna ho visto l’omicidio del giudice Livatino. Non è stata una scelta difficile testimoniare, sono state difficili le conseguenze. Questo è uno dei casi dove c’è una scelta sola e io potevo solo testimoniare, nel rispetto di me stesso e della mia dignità”. Lo ha dichiarato in collegamento telefonico Nava.

“Da lì è cominciata l’odissea che, purtroppo, sta continuando ancora – spiega Nava -. Potrei ripetere, passo per passo, quello che ho fatto il giorno dell’attentato al giudice. È un ricordo che non è possibile esorcizzare né dimenticare. Tornassi indietro rifarei la stessa scelta. Lì si poteva fare una sola scelta”.

Il primo testimone di giustizia del Paese conclude la telefonata: “Per me è cosi: non mi chiedo perché è successo a me, è il mio sentire che mi ha detto che dovevo testimoniare. Non potevo alzarmi la mattina, leggere sul giornale che era stato ucciso un magistrato e restare in silenzio. Le conseguenze ci sono ancora, le assorbiamo, ma onestamente non riesco a immaginare come non si possa testimoniare”.