Focolaio Covid alla Rsa “Villa Clementina”. Il Gip archivia le accuse per i tre indagati

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AVELLINO- “Non è stato possibile accertare con il dovuto grado di certezza quali siano state in concreto l’epoca e le modalità con le quali tale contagio sia avvenuto all’interno della RSA, né, di conseguenza, verificare se specifiche condotte in concreto poste in essere dagli indagati, responsabili della struttura, dal personale (medico, infermieristico ed assistenziale), o dagli stessi parenti dei degenti in occasione delle sua pur rare visite ai medesimi, possa individuarsi quale causa,. o concausa, dei contagi e dei conseguenti decessi”. E’ uno dei passaggi chiave delle circa venti pagine di decreto di archiviazione firmato dal Gip del Tribunale di Avellino Fabrizio Ciccone su richiesta della Procura di Avellino (la richiesta di 50 pagine era stata avanzata dal pm Maria Teresa Venezia) e di rigetto delle opposizioni firmate nell’interesse dei familiari di due delle otto vittime. Il caso e’ relativo al cluster Covid scatenatosi nella Rsa di Volturara “Villa Clementina” da cui erano scattate le indagini dei Carabinieri del Nas e della Compagnia di Solofra. I tre indagati, difesi dai penalisti Luigi Petrillo e Nello Pizza, rispondevano a vario titolo dei reati di epidemia colposa aggravata, inadempimento di contratto di pubbliche forniture, abbandono di incapaci e morte lesione in conseguenza di altro delitto.

EPIDEMIA COLPOSA – IL PRECEDENTE

La contestazione più grave è sicuramente quella riferita all’epidemia colposa. Per cui c’è una pronuncia della Cassazione per un caso analogo riferito al Covid che era stata già richiamata dalla Procura nella richiesta e viene ribadita nel decreto del Gip: “Tali principi sono stati di recenti ribaditi dalla Corte di Cassazione, Sez. IV, con Sent. n. 20416 del 4/3/2021 – 24/3/2021, P.M. in proc. .c La Rosa, in un caso analogo a quello in esame, e relativo ad una casa di riposo, sottoposta a sequestro preventivo d’urgenza del P.M. (poi convalidato dal G.I.P.), in relazione ai reati di epidemia colposa e per violazioni in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro (D. Lgs. n. 81/2008) in relazione alla diffusione del virus da Covid-19 tra i pazienti ed il personale della casa di riposo diretta dall’imputato. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso proposto dal Pubblico Ministero avverso il decreto del Tribunale del Riesame di annullamento di decreto di sequestro preventivo, ha evidenziato che, nel delitto di epidemia colposa, non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione, richiamando il citato orientamento giurisprudenziale, ed ha, altresì, escluso, quanto alla omessa doverosa integrazione del documento di valutazione dei rischi da Covid-19 con le procedure previste dal D.P.C.M. 24 aprile 2020, l’automatismo del nesso causale tra la violazione delle regole anticontagio e ladiffusione del virus.”

NESSO NON DIMOSTRATO

Scrive il magistato nel suo provvedimento:

“Per ciò che concerne il reato di omicidio colposo plurimo (art. 589 c.p.), si osserva che, pur avendo i CCTT. P.M. (consulenti del pm) accertato positivamente il contagio da Covid-19 come causa della morte di otto dei dieci pazienti ricoverati presso la “Villa Clementina” , non è stato possibile, per quanto emerso dalle indagini e, in particolare, alla luce dei rilievi dei consulenti, collegare oggettivamente, sotto il profilo eziologico, tali decessi a condotte colpose, a titolo commissivo e/o omissivo, riferibili con certezza agli odierni indagati ovvero asoggetti terzi”.

Anche sulla gestione del cluster da parte della dirigenza della Rsa il Gip rileva che non ci sono state inadempienze: “ricostruiti sinteticamente i fatti relativamente alla gestione del cluster, è di assoluta evidenza che, nel tentativo di fronteggiare l’emergenza, furono messe in campo dalla Direzione di “Villa Clementina” tutte le risorse disponibili per l’attuazione delle strategie diagnostiche, terapeutiche ed assistenziali, nonostante tutte le notevoli limitazioni”. Quelle che vengono anche sintetizzate e ricordate nel provvedimento, a partire “dalle caratteristiche dell’infezioni da SARS-COV2 (elevata contagiosità, repentine modifiche sintomatologiche,elevata morbilità e mortalità in soggetti fragili);alla significativa riduzione del personale operante con scarsa possibilità di una sua sostituzione, stante il massivo impegno di tutte le figure professionali (medici, infermieri, OSS) nelle strutture sanitarie di ogni tipologia chiamate in quel periodo a fronteggiare l’emergenza Covid; c) alle difficoltà tecniche nell’esecuzione di test diagnostico, sovraffollamento ospedaliero ad assenza di luoghi di cura alternativi alla rete ospedaliera”.

Aggiunge il Gip:

È incontestabile che, tenuto conto della tipologia di struttura residenziale, l’approccio farmacologico per la gestione dei degenti fu coerente alle indicazioni del momento”. Come già evidenziato dalla Procura, anche per il Gip non può essere configurato il reato di abbandono di incapaci, contestato agli indagati: ” nel caso di specie, non risulta che gli indagati, nelle rispettive qualità, abbiano, dopo l’insorgenza del cluster, ovvero in precedenza, coscientemente e deliberatamente, omesso la doverosa assistenza in favore degli anziani degenti, né che abbiano volontariamente tenuto condotte, attive o omissive, contrastanti con il dovere giuridico di cura e custodia sugli stessi gravanti, avendo- come detto -, specie dopo la rilevazione delle positività ai tamponi, poste in essere una serie di azioni finalizzate alla migliore assistenza dei pazienti, con la conseguenza che, se non si è reso possibile il trasferimento dei medesimi in strutture idonee, ciò è dipeso esclusivamente dalla indisponibilità di posti letto in strutture ospedaliere o Covid dedicate, così come comprovato dalle numerose comunicazioni intercorse tra la Direzione Sanitaria e l’ASL di Avellino a far data dal 26.10.2020″. Stesso discorso per il profilo di contestazione del reato di inadempimento del contratto di pubbliche forniture. Secondo il Gip: ” infatti, la sospensione delle prestazioni assistenziali in favore dei pazienti, in concomitanza del contagio, e dunque, il conseguente inadempimento agli obblighi contrattuali derivanti dalla convenzione sottoscritta con la ASL in seguito all’accreditamento, non integrano il reato in questione”. Una valutazione suffragata sa alcune sentenze della Suprema Corte. Per cui : ” attesa la situazione emergenziale connessa all’esplosione del focolaio, è innegabile che l’eventuale sospensione (o meglio, riduzione qualitativa del servizio prestato) sia stata conseguenza della oggettiva impossibilità di garantire l’ordinaria erogazione delle attività assistenziali alle quali la soc. “La Proxima s.r.l.” si era obbligata con la Pubblica Amministrazione”. Stesso ragionamento per l’ultima ipotesi di reato contestata, quella di “morte o lesioni come conseguenza non voluta di altro delitto”: “mancando il delitto doloso presupposto da cui derivata la morte non voluta dei pazienti e, per l’effetto, la prova della esistenza del nesso causale tra una ipotetica condotta delittuosa degli indagati ed il conseguente decesso dei degenti”.